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Channel: Le Inchieste di "La Spia" Archives - .: La Spia :. contro ogni forma di mafia
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Quattro le piazze di spaccio a Siracusa: fruttano 100mila euro al giorno. I nomi dei “capi” e le foto che li inchiodano

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La droga frutta ai clan di Siracusa ben 100/120 mila euro al giorno. Sono queste le cifre incredibili che, in media, intascano i clan (Bottaro-Attanasio in particolare) come profitto giornaliero delle quattro piazze di spaccio.

Nella foto che pubblichiamo sotto in esclusiva, un documento unico, si può notare la riunione che Francesco (detto Franco) Toscano convocò qualche giorno dopo essere uscito dal carcere (il 26 ottobre scorso) e qualche giorno prima di essere arrestato (il 21 novembre).

La riunione si svolse al “Parco Robinson”, con alcuni dei massimi esponenti delle “piazze di spaccio”.

I partecipanti alla riunione sono indicati con le frecce a cui corrisponde il nome.

Toscano, di spalle, parla animatamente con (da destra verso sinistra) Corrado Greco (detto il grosso), Daniele Cassia (detto Danielino), Danilo Briante ed Angelo Drago (detto pacchiarella).

Franco Toscano, Corrado Greco, Danielino Cassia, Danilo Briante, Angelo Drago

Toscano, secondo i “bene informati”, chiese ai partecipanti una percentuale dei guadagni della droga.

Potrebbe essere legata al risultato di questa riunione (ed alle richieste di Toscano) l’incendio della palestra del cognato, avvenuto il 21 novembre (LEGGI ARTICOLO).

Questa foto appare la conferma, nei fatti, della spartizione delle “piazze dello spaccio” con i diversi referenti. Vogliamo ricordare che, comunque, costituisce una prova fondamentale in quanto i pregiudicati hanno il divieto di incontrarsi fra loro e questo, già di per sé, è un reato.

Vediamo nello specifico le piazze di spaccio, con i “referenti” che alla luce del sole gestiscono la droga come fosse un affare assolutamente lecito.

LE PIAZZE DELLO SPACCIO: CHI COMANDA?

Le piazze dello spaccio a Siracusa sono quattro ed ognuna frutta una media di 20/30 mila euro al giorno. In un prossimo articolo dimostreremo, con ulteriori foto, abitazioni e proprietà dei “gestori” delle piazze di spaccio che, formalmente, risultano tutti disoccupati e senza alcun reddito (tale da giustificare le ricchezze accumulate).

Anche in questo caso l’organizzazione è piramidale: sotto ad ogni referente ci sono da un lato gli spacciatori, dall’altro le vedette che controllano il territorio sia per la droga che per conto del clan, al fine di prevenire le indagini delle Forze dell’Ordine.

In tutto ogni referente delle “piazze di spaccio” ha una ventina di persone che lavorano per lui fra spacciatori e vedette.

Via Italia e Parco Robinson sono gestite da Corrado Greco (detto il grosso), Daniele Cassia (detto Danielino) e Angelo Drago (detto pacchiarella). 

La tonnara è gestita dal “re dello spaccio” Danilo Briante e da Antonio Rizza.

Il Bronx è gestito da Francesco Capodieci (detto Cesco).

Via Algeri è gestita da Max Genova.

Il clan “Bottaro-Attanasio” riceve una percentuale degli introiti della droga che finiscono nelle casse del clan per i boss in galera, le spese legali e quelle delle “famiglie”.

Per chi pensa che con la droga si facciano soldi facili, vogliamo precisare che non è assolutamente così. Quei soldi, sporchi di sangue, costano carissimo.

Tutti i personaggi citati fanno “dentro e fuori” dal carcere e comunque, prima o poi, avranno il sequestro completo dei propri beni (che, lo ripetiamo, tratteremo in un prossimo articolo).

Ai ragazzi l’appello di non cascare nella trappola di chi promette “soldi facili”, magari offrendo la possibilità di “spacciare o di fare le vedette, quei soldi li pagherete amaramente.

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Macchine e case per mogli ed amanti: ecco come finiscono i soldi della droga dei ‘capi’ di Siracusa (FOTO)

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La droga frutta ai “capi” delle piazze di spaccio a Siracusa oltre 100mila euro al giorno.

Questo è quanto abbiamo raccontato una settimana fa con tanto di foto (LEGGI) del summit per la gestione delle piazze di spaccio, oggi ci occuperemo di capire dove vanno a finire quei soldi.

Una parte degli introiti, intorno al 20 per cento va al clan “Bottaro-Attanasio”, un’altra parte rimane agli spacciatori (dai 500 ai mille euro a settimana).

In questa “società” vanno considerate le vedette, retribuite (stile Napoli) con 500 euro alla settimana per informare agli angoli delle “piazze dello spaccio” della presenza di qualsiasi persona sospetta (per “persona sospetta” si intendono appartenenti alle forze dell’Ordine).

Il resto va ai capi (li ripetiamo):

Via Italia e Parco Robinson sono gestite da Corrado Greco (detto il grosso), Daniele Cassia (detto Danielino) e Angelo Drago (detto pacchiarella).

La tonnara è gestita dal “re dello spaccio” Danilo Briante e da Antonio Rizza.

Il Bronx è gestito da Francesco Capodieci (detto Cesco).

Via Algeri è gestita da Max Genova.

IL “NULLA TENENTE” DANILO BRIANTE E LA CASA DA SOGNO

Partiamo da Danilo Briante, il “re” dello spaccio a Siracusa, chiamato per tale ragione “Pablo escobar”. Briante gestisce, insieme a Antonio Rizza, la piazza della “tonnara”, ovvero quella che frutta di più (30/40 mila euro al giorno).

Danilo Briante è ufficialmente un disoccupato che non percepisce nessun reddito, vive a Siracusa ma non ha una residenza ufficiale.

In verità vive in una “casa popolare”, intestata ancora alla precedente inquilina. Alla stessa inquilina sono intestate le utenze di quella abitazione.

Briante, come da foto pubblicate sul profilo Facebook della moglie, Graziella Riani, che riportiamo sotto, ha modificato per intero la propria abitazione (pardon, quella della signora che ne risulta occupante) facendola diventare lussuosissima.

Si stima che abbia speso, in un anno, più di 150mila euro, con tanto di vasche idromassaggio, marmi luccicanti, rifiniture in legno pregiato, televisori al plasma e tanto altro.

Danilo Briante, va ricordato, è già stato coinvolto in più operazioni di polizia per droga, tutto aggravato dall’articolo 7, ovvero “per aver agevolato il clan mafioso denominato Bottaro-Attanasio”.

IL POST DI FRANCESCO CAPODIECI ED I SUOI “COLLABORATORI”

Le scelte della mia vita sono senz altro criticabili e discutibili…ma ad oggi credo che nessuno abbia il diritto di puntarmi il dito! (…) Parla pure di beni materiali ed immobili…nello specifico a cosa si riferisce?! non ho nessun mezzo…neanche uno scooter…così come nessun immobile di mia proprietà! Questo non è giornalismo sano…sarebbe più giusto chiamarlo gossip!!!”.

A parlare, con un post pubblicato sul gruppo Facebook “SIRACUSA ON WEB 2.0: gruppo di discussione sulla città” con tanto di sua foto, è Francesco Capodieci (detto Cesco) che gestisce un’altra importantissima piazza di spaccio: il “bronx”.

Innanzitutto facciamo chiarezza.

Quelle “scelte della vita senz’altro criticabili e discutibili” a cui fa riferimento sono diverse condanne per droga che Cesco Capodieci ha riportato, così come è stato coinvolto in diversi blitz delle forze dell’Ordine.

Oggi Capodieci, come detto nello scorso articolo, gestisce la piazza dello spaccio del “bronx” e ha alle sue “dipendenze” spacciatori e vedette in numero superiore ad una ventina di persone.

Lo stesso Capodieci che dice di non possedere nulla, in questo caso dice cosa che corrisponde al vero. Infatti a suo nome non ha intestato nulla, risultando nullafacente e nullatenente, ma mantiene la sua ex moglie e l’attuale convivente (con il cui profilo ha scritto il messaggio pubblico, tale Noemi Forestieri).

Ha casa di proprietà alla tonnara (non popolare), moto, scooter ed altri beni ma non intestati a lui, bensì a stretti congiunti.

A riscontro di quanto affermiamo riportiamo delle dichiarazioni (pubbliche, LEGGI ARTICOLO) del collaboratore di Giustizia Giovanni Piazzese.

Piazzese nel verbale di collaborazione del 28.1.2016 racconta che:

“La piazza del “Bronx” fa capo a Capodieci Francesco detto “Cesco”, e a Di Falco Riccardo detto “Riccardino”, i quali allo stesso modo potevano comprare lo stupefacente esclusivamente da Cavarra Luigi”. Precisa al riguardo che a un certo punto il gruppo del Bronx, dovendo corrispondere a due fornitori diversi, riduce gli importi che periodicamente versa a Cavarra.

“Cesco” Capodieci ha due stretti collaboratori pluripregiudicati: Riccardo (detto Riccardino) Di Falco eGiancarlo (detto Carlo a scecca) De Benedictis.

TOSCANO E DE CAROLIS, FRA MACCHINE E CASE

Ed infine Franco Toscano e Luciano (detto ciano u nano) De Carolis.

Francesco (detto Franco) Toscano uscì dal carcere (il 26 ottobre scorso) e rimase in libertà poche settimane: arrestato dalla Polizia il 21 novembre.

In pochi giorni ha “accumulato” una Mercedes classe A, un Beverly piaggio 250, una Honda integra 750.

Luciano De Carolis (detto Ciano u nano), con una serie infinita di procedimenti (fra i quali quello per l’omicidio di Angelo Sparatore, fratello del collaboratore di Giustizia Salvatore Sparatore) ha la “famosa” macelleria (intestata alle nipoti, Miniera) con la quale impone il “racket della carne” ai paninari per un introito di circa 5/6 mila euro al giorno. Conduce un tenore di vita altissimo e ha macchine e moto che cambia mensilmente.

La casa in cui abita “Cianu u nano” è nel quartiere della Mazzarrona ed è stata acquistata dal clan “Bottaro-Attanasio” nell’ottobre del 2001. Fu Alessio Attanasio che, in persona, diede i soldi “liquidi” a Luciano De Carolis nell’agenzia dell’odierno collaboratore di Giustizia, Rosario Piccione.

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Vittoria, il boss dell’usura e delle estorsioni: Pino Gueli. Dalla ‘Pack Art’ agli assegni, fino alle sue teste di legno

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Dopo i Ventura ed i Consalvo, ecco il boss Pino Gueli. “Altro giro, altra corsa” ed altra azienda inquinata dagli affari mafiosi.

Più volte, parlando di Vittoria, abbiamo raccontato del fenomeno dell’usura. Ed insieme alle estorsioni, l’usura è la vera piaga del vittoriese e, quando a fare usura (ed estorsioni) c’è un già condannato per mafia, lì la piaga diventa ferita enorme.

E stiamo parlando proprio di Pino Gueli, un curriculum criminale mafioso non secondo a nessuno: nato a Niscemi (Caltanissetta) il 6 luglio del 1955, il 17 giugno del 1992 venne arrestato (insieme ad altri 53) nell’operazione di polizia che portò in galera i vertice del clan Carbonaro-Dominante.

Pino Gueli si era trasferito a Vittoria (nel 1966) dove si è sposato (nel 1977) con Giuseppina Russo e dalla città ipparina ha iniziato la sua carriera mafiosa.

Condannato nel 1993 e nel 1994, con precedenti – oltre che per mafia – per rapina ed estorsioni.

LA PACK ART: IL FIGLIO, IL SOCIO E LA TESTA DI LEGNO

La Pack Art è un’importantissima azienda e fabbrica “carta e cartone ondulato” per produrre, in breve, imballaggi di carta e cartone.

Pino Gueli risulta come un “umile” operaio presso la segheria di Giuseppe Gulino (ovvero la sua “testa di legno”) che si occupa della distribuzione delle pedane.

Siamo sempre lì: l’affare servizi e quello degli imballaggi.

Prima i Consalvo (LEGGI), poi i Ventura (LEGGI), adesso Pino Gueli con la Pack Art.

Ma di chi è la Pack Art?

Sulla carta la Pack Art è di Giuseppe Gueli (figlio di Pino e di Giuseppina Russo) e di Giovanni Avola.

In realtà è del padre, Pino Gueli che, dopo i precedenti, risulta nullatenente (basti pensare che persino l’abitazione è intestata alla moglie, Giuseppina Russo).

L’USURA E LE ESTORSIONI…CON IL METODO MAFIOSO

Pino Gueli fa usura verso i commercianti e/o i clienti della Pack Art e dell’azienda di Gulino tramite il pagamento della maggiorazione del 5 per cento da restituire allo stesso Gueli ed ai soci (Avola, Gueli figlio). Il tutto con la sua presenza mafiosa e la forza d’intimidazione.

Un’altra forma di usura avviene per il pagamento del legname dell’azienda di Gulino: Pino Gueli – “povero” operaio – presta, nei fatti, i soldi agli “acquirenti” ed i pagamenti devono avvenire a 90 giorni in assegni (di volta in volta rinnovabili) verso la segheria di Gulino.

E’ chiaro che, in una realtà piccola come quella vittoriese, sai bene chi hai davanti, a maggior ragione nel caso di Pino Gueli. Va ricordato, infatti, che una delle peculiarità delle organizzazioni di stampo mafioso è la paura che si incute per l’appartenenza.

Proprio quella che hanno le vittime di Pino Gueli.

Caso eclatante che fa comprendere gli interessi di Pino Gueli ed il suo “fare” mafioso avviene durante le ferie campionarie nel nord Italia: è in queste occasioni che lo stesso Gueli (Pino, il padre) si reca con Giovanni Avola e si mette in bella mostra con le aziende di questa parte di Sicilia per far “pesare” la sua presenza.

Infine, oltre alla piaga dell’usura, anche alcune estorsioni, cosiddette “dolci”, ovvero fatte anche grazie all’attività imprenditoriale: la Pack Art, quindi coinvolgendo sia il figlio Giuseppe, sia il “socio”, Giovanni Avola.

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Siracusa, cosa accade nel clan? Cassia aggredito in carcere, Greco occupa la casa di un pentito e gli brucia la “roba”

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Interno giorno, carcere di Cavadonna a Siracusa: Danielino Cassia, da poco arrestato per un residuo di pena, capo della piazza di spaccio a Siracusa di “via Italia”, litiga animatamente con il boss Francesco (detto Franco) Toscano (anche lui in galera da poche settimane – LEGGI).

Cassia – secondo i “bene informati” si è beccato, al culmine di una discussione animata (per usare un eufemismo) uno schiaffo da Toscano, ha tentato di reagire ma è stato subito aggredito da altri “boss” in galera a Cavadonna (bisogna ricordare che i carcerati nel corso della giornata vivono “liberi” di girare in carcere).

Oggetto del contendere?

Sempre lo stesso, quello che avevamo segnalato con la pubblicazione della foto del summit (GUARDA): i soldi.

Franco Toscano si lamenta di non ricevere abbastanza soldi dello spaccio di droga a Siracusa, lo fa con Danielino Cassia in carcere, così come lo ha fatto nella sua (breve) permanenza fuori dal carcere con gli altri “capi piazza” in quella (famosa) riunione: Corrado Greco (detto il grosso), Danilo Briante ed Angelo Drago(detto pacchiarella).

L’aggressione di Cassia fa comprendere il clima esplosivo (dentro e fuori dalle carceri) dei clan di Siracusa città. Un equilibrio oramai spezzato con alcuni “big” dentro (Alessio Attanasio, ovviamente, ma anche Franco Toscano) ed altri fuori, su tutti Luciano De Carolis ma anche Vito Fiorino e Francesco Fiorentino.

Fuori il clan continua ad essere “diviso” per gli “affari” dalle estorsioni, ma anche dalla droga, con i capi in carcere che si lamentano per quanto i “capi delle piazze di spaccio” cittadine continuano a guadagnare senza versare (a loro dire) “abbastanza” per carcerati e “famiglie”.

CORRADO GRECO (U RUOSSU) E LO SFREGIO AL PENTITO

La sfida ai pentiti.

E’ noto a tutti l’omicidio di Angelo Sparatore, fratello del collaboratore di Giustizia Concetto Sparatore.

In quel caso, secondo il racconto di Salvatore Lombardo (detto Puddisinu) anch’egli oggi collaboratore, lui e Luciano De Carolis entrarono in azione tra le ore 8 e le 8,05 in Via Gaetano Barresi per uccidere con  diversi colpi di pistola calibro 9, insieme a Luciano De Carolis (LEGGI), Angelo Sparatore, fratello del pentito Concetto Sparatore, che tutti nell’ambiente malavitoso e in quello familiare chiamavano Salvo.

Secondo Puddisinu, ad ordinare l’omicidio di Anagelo Sparatore sarebbe stato direttamente il capomafia al 41bis, Alessio Attanasio, ad ucciderlo sarebbero stati – appunto – lui e proprio Luciano De Carolis.

Per il collaboratore di Giustizia Salvatore Lombardo, “una volta ricevuto l’ordine da Attanasio, lui e Luciano De Carolis si sarebbero attendati sotto l’immobile in cui risiedeva Angelo Sparatore, dormendo all’interno del cabinato di un furgone Fiorino delle Poste Italiane”. Per poi ucciderlo.

In questo caso è in corso il processo.

Nell’ultimo periodo un altro collaboratore di Giustizia avrebbe ricevuto una pesante intimidazione: parliamo di Lugi Cavarra, che in questo periodo è uno dei “pentiti” più importanti per la puntualità delle sue dichiarazioni rese (grazie alla sua collaborazione molti uomini del clan sono a processo).

Corrado Greco (detto il grosso) quando si pentì Luigi Cavarra, per vendicarsi della sua collaborazione con la Giustizia, si è introdotto nel suo appartamento alle case popolari, prendendone possesso con tutta la mobilia e da quel giorno non è più uscito.

E se ciò non bastasse, come massimo atto di sfida e spacconeria, Corrado Greco (il grosso) ha preso alcune cose dalla casa di Cavarra, le ha portate giù nella pubblica via e le ha bruciate.

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Dal consiglio comunale alla mafia, passando per società ed attentati: ecco cosa accade a Pachino

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Il binomio Giuseppe Vizzini (detto Peppi Marcuotto) e Salvatore Giuliano (detto Turi) è da tempo particolarmente forte nella città di Pachino.

Basti pensare che i due sono soci in affari e non solo, come vedremo nell’articolo.

Il capomafia Salvatore Giuliano uscì dalle patrie galere, a seguito di condanne per mafia, nel maggio del 2013. Nel settembre dello stesso anno, il mafioso Turi Giuliano insieme a Peppi Marcuotto (Giuseppe Vizzini) diventarono soci in affari, costituendo una società agricola, “La Fenice srl”.

Per evitare di risultare loro i soci, intestarono la società ai due figli: Gabriele Giuliano (figlio del capomafia Turi) e Simone Vizzini (figlio di Peppi Marcuotto).

La società, inizialmente, servì per assumere come (umili!) operai i due genitori, così da percepire reddito senza risultare come proprietari.

Successivamente la società agricola “La Fenice srl” è servita anche per realizzare alcune estorsioni, seppur indirette.

Si rinsalda così un rapporto storico di amicizia tra Salvatore Giuliano e Peppi Marcuotto, insieme alle loro famiglie ed anche ai fratelli Aprile, braccio armato del clan e tramite per le estorsioni del capomafia Giuliano.

Pubblichiamo sotto una serie di foto con le famiglie Giuliano, Vizzini (Marcuotto) e gli Aprile.

GIULIANO IN GALERA, MARCUOTTO IN POLITICA

Mentre Salvatore Giuliano era ristretto fra quattro mura in una comoda cella, Peppi Marcuotto (prima di finire anche lui in galera) fece carriera politica.

Giuseppe Vizzini (detto Peppi Marcuotto), nonostante i problemi giudiziari, venne eletto al consiglio comunale di Pachino il 30 novembre del 1997 (poi arrestato durante il mandato) e poi venne rieletto l’11 giugno del 2006. Mentre nelle elezioni del 2009 appoggiò un consigliere comunale che risultò fra i più votati in città.

Nel corso delle ultime elezioni (quelle del 2014) ha appoggiato il candidato sindaco Andrea Ferrara, battuto (ma questa è storia già da noi raccontata – LEGGI ARTICOLO) al ballottaggio da Roberto Bruno. Al Consiglio comunale, invece, Peppi Marcuotto appoggiò il candidato Salvatore Spataro (sostenuto, guarda caso, anche dal capomafia Giuliano ed oggi passato beatamente in maggioranza con il Sindaco Bruno).

Spataro – primo degli eletti in città (anche in questo caso ci sarebbe da riflettere per un consigliere sostenuto dal clan) – faceva tandem con la nipote di Peppi Marcuotto, Cristina Olindo, figlia di una sorella della moglie Franca Corvo, nella lista Udc (come dicevamo sopra, in sostegno al candidato sindaco Andrea Ferrara).

Salvatore Spataro e Cristina Olindo

Cristina Olindo è ancora oggi la prima dei non eletti, pronta a subentrare nel caso di dimissioni e prese 241 voti (a fronte dei 331 di Salvatore Spataro).

LA FOTO ALL’USCITA DEL CARCERE DEI FRATELLI APRILE

A testimonianza della vicinanza di Peppi Marcuotto e dei suoi figli con Salvatore Giuliano ed i fratelli Aprile, pubblichiamo una foto che già inserimmo in un articolo l’estate scorsa relativamente alla festa per la loro scarcerazione (GUARDA).

Liberazione fratelli Aprile

In questa foto, scattata pochi minuti dopo la scarcerazione dei fratelli Aprile, si può notare come il capomafia Salvatore Giuliano, Peppi Marcuoto, ed i suoi figli, andarono a festeggiare la liberazione dei fratelli Aprile (Peppe, Giovanni e Claudio).

LA MOGLIE DI MARCUOTTO ED IL COGNATO UCCISO

Peppi Marcuotto (Giuseppe Vizzini) è sposato con Franca Corvo.

Il fratello di Franca Corvo, Serafino (cognato di Marcuotto) fu ucciso al rifornimento IP con alcuni colpi di fucile a bruciapelo, li 24 gennaio del 1999.

Non si è mai accertata la verità sulla morte di Serafino Corvo (ragazzo che veniva considerato da tutti come “per bene”) ma per molti (ribadiamo, una tesi mai accertata giudiziariamente), si trattò di una vendetta trasversale nei confronti del cognato, Peppi Marcuotto, all’epoca in galera.

Il giornale “La Repubblica” del 25 gennaio 1999 (LEGGI) riportò i fatti, scrivendo:

E’ stato ucciso con un fucile a canne mozze Serafino Corvo, 35 anni, gestore di un distributore di benzina a Pachino, a 50 chilometri da Siracusa. I due killer sono arrivati su di una motocicletta con il volto coperto dai caschi e hanno fatto fuoco su Corvo che è morto sul colpo. Secondo gli inquirenti il delitto è stato compiuto per lanciare un avvertimento a suo cognato Giuseppe Vizzini arrestato per associazione mafiosa. Il presunto mafioso, sposato con la sorella della vittima, è stato catturato in un blitz scattato nel siracusano. Dopo l’arresto del familiare, Corvo aiutava il dipendente della pompa di benzina Paolo Rabito, 32 anni a gestire l’ attività commerciale di proprietà di Vizzini.

IL DISTRIBUTORE E L’ATTENTATO

La gestione dei distributori sembra essere un affare di famiglia per i Corvo-Vizzini.

Così, 18 anni dopo l’omicidio di Serafino Corvo, per “colpa” della gestione di un altro distributore di benzina, ecco un altro attentato.

Lo scorso 30 dicembre, infatti, una bomba carta esplode sotto l’auto dell’avvocato Adriana Quattropani (LEGGI).

L’avvocato Quattropani aveva appena effettuato la reimmissione in possesso del distributore “Esso”, ordinato dal Giudice alla procedura fallimentare di Siracusa, gestito fino a quel giorno da Franca Corvo, moglie – lo ribadiamo – di Peppi Marcuotto.

Aver perso il distributore era troppo per la signora Franca Corvo e, soprattutto, per la famiglia di Peppi Marcuotto.

Famiglia Marcuotto

Ed è così che i Vizzini (non solo Peppi Marcuotto, ma anche altri suoi familiari) avrebbero cercato di lavare “l’onta” dell’aver perso il distributore, con l’ausilio di “altri” delinquenti conclamati di Pachino (ma su questo torneremo con un approfondimento nei prossimi giorni).

Insomma, dopo 18 anni ancora un distributore ed ancora un attentato, che sembra avere un unico comune denominatore: la mafia e l’atteggiamento mafioso.

Da Turi Giuliano ai fratelli Aprile, fino a Peppi Marcuotto ed ai suoi figli, perché a Pachino per i delinquenti deve essere ben chiaro chi comanda.

I cittadini, però, sappiano che a differenza di 18 anni fa oggi si arriverà alla verità, grazie al prezioso lavoro di chi indaga ed al contributo di ognuno di noi. Il tutto per liberare Pachino dalla mafia alla politica collusa, fino all’imprenditoria a cavallo fra la legalità e l’illegalità che strozza i tantissimi imprenditori per bene.

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“La carne dovete comprarla da me”. Il business del clan a Siracusa, il boss senza patente e la “famosa” macelleria

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L’affare della carne a Siracusa è un business che frutta un’infinità di soldi ed i clan lo sanno bene. Tantissimi, infatti, sono i paninari in città e molti di loro vengono obbligati a comprare la carne sempre dalla stessa macelleria (e quando non si piegano a pagare, ecco le bombe che iniziano ad esplodere).

Fino a qualche anno fa era Luigi Micieli, storico componente del clan Bottaro-Attanasio (e suocero di Giuseppe Calabrese, detto Delfo, coimputato in vari processi per omicidio insieme ad Attanasio), a gestire il redditizio racket.

Tutto fino a quando Luciano De Carolis (detto Ciano u nanu), oggi il reggente del clan “Bottaro-Attanasio” in libertà, non si decise ad investire nel settore.

Da quel giorno l’affare della carne è passato (quasi) totalmente di mano, non senza una guerra interna (casualmente mentre c’era questa “diatriba” fra i due, la panineria del figlio di Luigi Miceli, Sebastiano, prese fuoco – fatto mai chiarito nella sua dinamica).

LA MACELLERIA, DA UN BOSS ALL’ALTRO

Il business della carne, conosciuto in città come “racket” in quanto viene imposto ai tantissimi “paninari” di Siracusa, prende vita da una macelleria, passata di mano da boss in boss.

L’attività si trova in via Alessandro Specchi ed oggi si chiama “Centro Carni” (intestata alle sorelle Miniera).

Macelleria De Carolis (intestata a sorelle Miniera)

L’attività imprenditoriale (la macelleria) venne aperta anni fa da Ernando Di Paola, storico componente del clan Urso-Bottaro. Quando il Di Paola venne arrestato (oggi è in galera per un definitivo di pena), l’attività passò a Luciano De Carolis (Ciano u nanu).

LA MACELLERIA “SOTTO” CIANO U NANO

Luciano De Carolis (Ciano u nano), dopo aver rilevato la macelleria da Ernando Di Paola – al fine di non risultare in prima persona – la intesta alle incensurate sorelle Miniera (Carmela e Margherita), ovvero alle sue nipoti, in quanto figlie della cognata (la sorella della moglie Rosanna Frittitta, sposata con Sebastiano – detto Iano – Miniera).

Fisicamente nell’attività lavorano la moglie di Ciano u nano, ovvero Lucia Frittitta (sorella, oltre che di Rosanna, anche del pluripregiudicato “suchillo”) e la nipote, Carmela Miniera.

Fra le tante cose assurde di questa storia, insieme alle mancate denunce alle forze dell’Ordine (nessuno dei paninari estorti denuncia), vi è la storia della consegna della carne.

E’ Luciano De Carolis in prima persona che, per assicurarsi dell’immediato pagamento, a bordo del suo mezzo, va a consegnare la carne ai diversi clienti (per modo di dire, clienti…visto l’obbligo a cui sono costretti).

Il problema è che il condannato per omicidi e mafia, De Carolis, non ha la patente, quindi ogni giorno guida ed effettua le consegne sprovvisto dei requisiti di legge.

Certo, è l’ultimo dei reati che Ciano u nano (LEGGI CHI E’ LUCIANO DE CAROLIS) commette, visti anche i processi in corso come quello per l’omicidio di Angelo Sparatore (con il reo confesso collaboratore di Giustizia, Salvatore Lombardo, detto Puddisinu –  ma di questo omicidio ci occuperemo settimana prossima, approfondendo particolari molto importanti).

Per i cittadini di Siracusa, però, vedere sfrecciare Ciano u nanu senza patente non è un bel segnale, bensì l’ennesima riprova di quell’atteggiamento mafioso che nel clan Botatro-Attanasio e nella famiglia De Carolis è ben presente.

Basti pensare alle minacce che il fratello di Luciano, Francesco De Carolis (LEGGI ARTICOLO) rivolse a chi scrive e per le quali oggi è in galera oppure a ciò che pubblichiamo sotto, ovvero le foto che si possono trovare pubblicamente in profili relativi a familiari di Luciano De Carolis, molte delle quali inneggianti alla mafia come quelle con passamontagna e pistola in mano o i continui richiami a Rosy Abate, la mafiosa protagonista della fiction di Mediaset (sia ben chiaro la scelta di pubblicare queste foto, fra le altre cose accompagnate da emoticon come “bombe e pistole” non costituisce reato ma è sinonimo di una cultura che appare ben chiara).

“Altro che stare zitti, bisogna urlare”. Era questo il motto di Libero Grassi, imprenditore ucciso per non essersi piegato alle estorsioni della mafia. 

Con qualsiasi forma di pizzo o di racket la mafia, in questo caso Luciano De Carolis, controlla il territorio ma soprattutto controlla ognuno di noi.

Ai cittadini di Siracusa la decisione se continuare a comprare nella macelleria di De Carolis ed agli imprenditori taglieggiati dal mafioso, in nome e per conto del clan Bottaro-Attanasio, la decisione di denunciare, sapendo che chi paga la mafia, diventa parte della mafia. A tal proposito si ricorda che, con l’approvazione della legge sui Testimoni di Giustizia, oggi denunciare conviene realmente!

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Da Vittoria al nord Italia, le società in cui la famiglia del condannato per mafia reinveste i soldi della plastica

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Il “business” della plastica, cioè quello relativo allo smaltimento delle materie plastiche delle serre, è molto più complesso e redditizio di quanto non siamo riusciti a raccontare fino ad oggi.

Con questa nostra inchiesta vogliamo farvi fare un viaggio nel settore della plastica, dall’inizio fino al guadagno (enorme) finale, passando per smaltimenti illeciti, fino al danno ambientale inimmaginabile.

COME FUNZIONA IL CICLO DELLA PLASTICA?

La plastica impiegata in agricoltura (dalle coperture delle serre in poi), essendo impregnata di fertilizzanti, fitofarmaci e pesticidi, è considerata rifiuto speciale altamente tossico e, pertanto, il suo smaltimento deve essere eseguito in impianti specifici, che trattano il materiale con diversi cicli di lavaggio, in modo da bonificarlo per il successivo reimpiego.

L’affare è stato “annusato” dai gruppi criminali organizzati, soprattutto nel contesto vittoriese e gelese. E’ enorme il business legato alla raccolta ed al riciclo della plastica esausta, proveniente dai diffusissimi impianti serricoli delle campagne dell’intera provincia di Ragusa.

Il circuito economico attrae la criminalità sotto vari aspetti, due su tutti: il riciclaggio di proventi illeciti attraverso l’offerta competitiva in fase di acquisto ed il lucroso guadagno nella fase di vendita, senza sopportare i previsti costi di smaltimento e recupero.

Proprio dall’inquadramento storico si può capire di più. L’affare della plastica da almeno un decennio è stato indicato come attrattivo.

Alle aziende storiche si è ben presto affiancato, fino a diventarne il più forte, il gruppo Donzelli (come emerge dalle recenti indagini della Guardia di Finanza, per delega della Procura di Ragusa).

IL GRUPPO DONZELLI

Nel settore della raccolta, lavorazione e riciclo della plastica esausta, spicca il gruppo legato a Giovanni Donzelli ed al figlio Raffaele.

Va subito precisato che, Giovanni Donzelli, è stato condannato per associazione mafiosa, nell’ambito dell’operazione “Piazza Pulita”. Donzelli è stato considerato contiguo al gruppo Dominante.

“Il Donzelli – si legge in una nota ufficiale – starebbe tentando di ridimensionare le iniziative imprenditoriali dei concorrenti nel settore, supportato anche da personaggi di spessore criminale legati ai contesti mafiosi gelesi”.

Effettivamente Donzelli ha creato un vero e proprio sistema di scatole cinesi. Società che acquistano e comprano, fanno fatture (spesso a “giro”) e realizzano proventi finali. Le stesse “scatole cinesi” che il condannato per mafia Giovanni Donzelli contestò, fra un insulto e l’altro, nel video di Rai1.

Il Gruppo ha un enorme numero di società (di comodo?) per attenuare (?) la pressione fiscale dello Stato, reinvestendo continuamente in nuove attività.
Società delle quali, in alcuni casi – misteriosamente -, si perdono le tracce.

Società, per citare un esempio concreto, che nel 2010 hanno fatturato 10 milioni di euro e che a rimbalzo si perdevano da Vittoria fino a Niscemi (in una contrada sconfinata, senza numeri civici e con nessuna possibilità di essere rintracciata); arrivando fino a Novara e da qui, appunto, perdendosi le tracce.
Per non parlare dei debiti con l’Enel, non onorati da dieci – quindici anni.

Il sistema, in assoluto, è più complesso a spiegarsi che a realizzarsi: si aprono diverse linee di credito, molte “a pagherò”, vengono emesse fatture che rimbalzano da una società all’altra, fino ad azzerare i proventi ed a iscriverli come spese.

LE SOCIETA’ DEL GRUPPO DONZELLI

Le società che fanno capo al “Gruppo Donzelli” sono molteplici e, ovviamente, non riguardano solo lo smaltimento della plastica. Anzi, a quel punto lo smaltimento (quindi la Sidi Srl) diventa “solo” la capofila, da dove si realizzano i maggiori proventi che vanno fatti “uscire” con il sistema delle fatture verso le altre società.

Vediamole nello specifico:

  • La Sidi Srl (che ha sede legale a Vittoria, in via Nino Bixio n. 401) era rappresenta da RaffaeleDonzelli (figlio di Giovanna Marceca e Giovanni Donzelli).

Il 9 gennaio del 2015 la società avanza al Libero Consorzio Comunale di Ragusa (già Provincia Regionale di Ragusa) la richiesta di cambio di titolarità dell’attività di messa in riserva di rifiuti non pericolosi, dalla società South Italia Donzelli Industry S.r.l., in favore della società SIDI s.r.l. con sede legale a Vittoria in Via G. Matteotti n. 328 e rappresentata da Donzelli Giovanni, già condannato per mafia.

La Sidi Srl, diventa Sidi Srls, a questo punto intestata al mafioso Giovanni Donzelli, opera la dismissione e il riciclo della plastica.

  • La Sidi Srl, però, non risulta proprietaria del terreno dove sorge l’attività (in contrada Mazzara a Vittoria) che è intestato, invece, alla Sa. srl, con sede a Vittoria in piazza Matteotti n. 17 e rappresentata da Giovanna Marceca (moglie di Giovanni Donzelli e madre di Raffaele).

Primo passaggio, quindi, in quanto non è difficile immaginare che la Sidi Srl, paghi alla Ro.Sa. srl compensi per utilizzare il terreno di proprietà (vi è un contratto di comodato stipulato il 27 dicembre del 2014).

Si, avete capito bene: il figlio ed il marito che pagano alla moglie per utilizzare il terreno.


Ovviamente non è finita qui, anzi siamo solo all’inizio.

  • All’interno dell’azienda Sidi Srl opera la IPC S.r.l. (amministrata da Salvatore Macchiavello, “testa di legno” dei Donzelli?) che è appaltatrice della Sidi Srl e, nei fatti, stipula i contratti con i dipendenti.

 

  • Altra società che fa capo al gruppo e che si occupa di plastica è la MacPlast Agritec Srl, con sede in contrada Bosco Piano a Vittoria. 
La società inizialmente si chiamava Agritec, poi diventa MacPlast, fino a diventare Nuova MacPlast. Va detto che, ogni volta che cambia il nome, conseguentemente, cambia tutto l’assetto societario.

Con la MacPlast si esauriscono (forse!) le società riconducibili al gruppo Donzelli operanti nel settore dello smaltimento delle materie plastiche.

Queste società sono comunque collegate ad altre società del gruppo Donzelli, dove vengono reinvestiti i capitali e precisamente:

  • Immobiliare: è una società immobiliare, acquista e vende immobili; importantissima per permettere una vera e propria rete di acquisti e vendite continue.
  • Smooth Village: villaggio turistico e bar, società intestata alla sorella di Raffaele Donzelli, altra figlia del condannato per mafia Giovanni Donzelli, cioè Clara Donzelli. Lo Smooth Village è un villaggio turistico, molto in voga, a Scoglitti.
  • Infine la Safran Srl, intestata a Lorella Iacono (moglie di Raffaele Donzelli), commercia marche prestigiose di abbigliamento di nicchia (i negozi “Belli e ribelli” in via Nino Bixio 155 a Vittoria).

I Responsabili delle società:

Vi sono diverse altre società del “Gruppo” che, però, non sono direttamente intestate ai Donzelli. La questione si complica – e di molto – se si allarga ai beni immobili o mobili e di lusso,  come molteplici autovetture (non comuni!).

IL DANNO AMBIENTALE

Il capitolo smaltimento è, relativamente alla “plastica”, il più complesso. Non fosse altro per il tema cruciale dei “fanghi” e dei documenti prodotti per il loro smaltimento che hanno costituito un “danno ambientale enorme”.

“Nel corso delle indagini si accertava altresì – scrivevano i militari della Gdf – che la Sidi srl provvedeva a smaltire i fanghi trasportandoli in una cava sita ad Acate. In relazione alla cava, in occasione del sopralluogo del 7/3/16, il responsabile del Dipartimento ARPA di Ragusa riferiva che già nel mese di novembre del 2015 aveva svolto analoga attività nei confronti di altri soggetti direttamente riconducibili a Donzelli Giovanni, in particolare Giovanni Longo (che ammetteva che “i rifiuti presenti sull’autocarro provenivano dallo stabilimento Sidi srl e che per il trasporto la Sidi srl aveva rilasciato solo un mero documento di trasporto e non il necessario formulario identificazione rifiuti”).

Il sito in cui si smaltivano questi rifiuti, esteso per quasi 15mila metri, era saturo di ogni sorta di rifiuto, come pneumatici usati, rifiuti derivanti dalla demolizione di edifici, paletti in cemento armato utilizzati in agricoltura, fusti di plastica contenenti pesticidi e fitofarmaci sparsi in ogni dove ma, soprattutto, teli di polietilene di colore nero, usati per la pacciamatura delle serre misti alla sabbia e parzialmente interrati”.

Persino lo stato dei luoghi della Sidi (come è facilmente verificabile nel video pubblicato sopra) per le Forze dell’Ordine non era idoneo:

A) i rifiuti trattati dalla SIDI srls erano stoccati sulla nuda terra e non su di un basamento impermeabile e, inoltre, non per tipologia e quindi separatamente in spregio al D.M. 19/05/2006 n.186;

B) il piazzale utilizzato dalla SIDI srls non era dotato di impianto di raccolta delle acque di prima pioggia ne’ tantomeno di idoneo scarico fognario dotato di pozzetti d’ispezione (pozzetto fiscale), né di idonea rete di captazione, in difformità a quanto previsto dall’art. 152 del d.Lgs152/2006;

C) lungo il perimetro dell’impianto non erano presenti adeguate essenze arboree per l’occultamento visivo e la mitigazione dei rumori ma, anzi, come da supporti fotografici allegati, il confine era privo di qualsiasi vegetazione a causa dell’asfissia radicale dovuta alla fuoriuscita di percolato dovuto allo straripamento dei letti di essiccazione del fango contenente sostanze inquinanti;

D) il settore per il conferimento dei rifiuti non era distinto da quello della messa in riserva, ne’ tantomeno quest’ultimo era organizzato in aree distinte per tipologia di rifiuti trattati;

E) la superficie del settore di conferimento sembrava essere sprovvista di idonea pavimentazione impermeabilizzata e dotata di sistemi di raccolta dei reflui che possano fuoriuscire, da automezzi o serbatoi in ingresso;

F) la vasca di sedimentazione dei fanghi non rispettava i dettami imposti dall’autorizzazione concessa dal comune di Vittoria;

Facile fare impresa così, a scapito della salute dei cittadini tutti tanto da far urlare la Procura al “disastro ambientale”, poi reinvestendo in altre attività.

Falcone diceva: “dobbiamo colpire i criminali dove fa male, dobbiamo seguire i soldi”.

Dal business della plastica, al gruppo Donzelli (colpito negli ultimi anni da diverse indagini sfociate con sequestri per delega della Procura di Ragusa), fino alla galassia delle altre società snocciolate.

La domanda continua ad essere: dove finiscono i soldi della plastica? Chi paga il danno ambientale?

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La Siracusa degli “scugnizzi” canta in napoletano fra mafia, malavita e (falso) onore

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Scugnizzi che “vivono soltanto con l’onore e dignità”, armi imbracciate in pugno, ricostruzioni di rapine e di omicidi.

Musica e parole napoletane, ma la location è sulla latitudine di Tunisi.

Siamo a Siracusa e, come nel capoluogo della vicina provincia etnea, è sempre più in voga la moda dei neomelodici.

Sono diversi gli “scugnizzi” con il cuore pulsante ed i richiami alla napoletanità, un viaggio che non nasconde il cavallo di battaglia dell’infrangere le regole, l’ammiccamento alla mafia o addirittura l’esaltazione.

Poco più di un anno fa, il 6 settembre del 2016, Siracusa balzò alle cronache nazionali per il concerto – neomelodico, ça va sans dire – organizzato dal boss (LEGGI).

All’epoca erano i boss Concetto (detto cuncittazzu) e Sebastiano Garofalo a comparire addirittura nei manifesti dell’evento musicale. Ma, da allora, la situazione non è cambiata, anzi.

OMICIDI, RAPINE, DROGA: ECCO COME NELLE CANZONI SI INNEGGIA ALLA MAFIA

OMICIDI, RAPINE, DROGA: ECCO COME NELLE CANZONI SI INNEGGIA ALLA MAFIAIl fenomeno dei neomelodici in Sicilia è sempre più in voga, fra armi imbracciate in pugno, ricostruzioni di rapine e di omicidi. In questa videoinchiesta un “viaggio” nel cuore della musica neomelodica siracusana, ambito in cui è sempre più forte il legame fra cantanti neomelodici e boss, con i continui richiami “all’onore ed alla dignità”.Ricordiamocelo, il grande Giudice Rocco Chinnici diceva: “i mafiosi non hanno dignità, sono vigliacchi ed assassini”.Facciamo squadra, aiutatemi a condividere…togliamo il consenso alle mafie: è l’unica arma che abbiamo! LEGGI L’ARTICOLO —> http://www.laspia.it/la-siracusa-degli-scugnizzi-canta-napoletano-fra-mafia-malavita-falso-onore/Paolo Borrometi

Pubblicato da Paolo Borrometi su Domenica 28 gennaio 2018

Fra i video più condivisi dagli aspiranti “scugnizzi” siracusani, troviamo quello di Maikol Capodieci, cugino di Francesco Capodieci (detto Cesco), a capo di una delle più redditizie piazze di spaccio di Siracusa (LEGGI ARTICOLO) e pluripregiudicato.

Il titolo della canzone è già di per sé un programma: “E Guaglion e miez a Via”.

I ragazzi in mezzo alla strada sono gli attori protagonisti del video che spopola in rete, quelli che per Capodieci vivono “soltanto con l’onore e dignità”, fra rapine a mano armata ed a volto scoperto, ovviamente niente caschi sullo scooter per non parlare delle cinture in macchina.

“Scugnizzi” in mezzo a via che vivono di malavita, scelgono una vita in cui “ogni giorno ogni cosa può capitare”.

Le riprese sono fatte fra il quartiere del Bronx (proprio dove è capo piazza di spaccio il cugino Cesco) e quello della Pizzuta. Nel video fanno bella mostra di sé il pluripregiudicato Gianclaudio Assenza (che era ai domiciliari e, per questa ragione, si affaccia “solo” sulla porta, come se già questo non fosse un reato!) e due pezzi importanti, molto vicini proprio a Cesco Capodieci: Christian Lanteri e Simone Di Stefano (ovviamente tutti già arrestati per droga, Di Stefano è il figlioccio di Cesco Capodieci, nonché uno dei più attivi spacciatori).

Fra le altre cose, va ricordato, Cesco Capodieci organizzò – qualche anno fa – un concerto neomelodico per festeggiare in grande il compleanno del figlio.

Da Capodieci si passa ad un “must” per Siracusa, parliamo di Tony Urso, proprio quello che organizzò insieme a Cuncittazzu il concerto “famoso”.

Tony Urso è parente di Gaetano Urso detto “Tano ‘u connu”, condannato per avere indotto il baby killer Massimiliano Bennici ad uccidere Vito Grassi, colpevole di avergli lanciato un’occhiata di scherno. Ed è anche parente di Concetto Garofalo detto cuncittazzu.

Tony Urso nella sua canzone “da Catania a Siracusa”, fa fare da comparse a boss di ogni genere. Non passano inosservati, ad esempio, Danilo Greco e Corradino Piazzese, pregiudicati e boss del clan della “Borgata”.

Ma non è finita qui: Davide Cassia, altro “pezzo da 90” della canzone neomelodica aretusea ovviamente, parente degli storici Cassia. Nella foto sotto con il suo parente Danielino Cassia, ovvero il capo della piazza di spaccio di Via Italia e Parco Robinson.

Daniele e Davide Cassia

E Salvo Quattrocchi che, insieme a Gaetano Barone, canta la sua “Pe nu frate ‘e miez’a via”, tutta ambientata fra carcere e Siracusa, fra rivendicazioni della malavita e uccisioni. Anche in questo caso, come in quello di Capodieci, armi in pugno a commettere reati (in questo caso un omicidio). Salvo Quattrocchi è parente di Concetto Garofalo (detto Cuncittazzu) e di Sebastiano, figlio di Cucittazzu, arrestato con il padre per estorsione.

Salvo Quattrocchi e Seby Garofalo

IL BUSINESS

Un business che frutta tantissimo, fra feste in piazze e feste private ed è, più che altro, l’ostentazione del potere mafioso. Cifre che dipendono anche dalla popolarità degli artisti: su YouTube i video collezionano visualizzazioni e più ne collezionano più guadagnano.

Il potere delle mafie viene esercitato nel controllo del territorio ed è fondamentale, quindi, che nei video girati in questa o in quell’altra piazza, ci siano i “capi”, fra ammiccamenti ed esaltazioni della mafia.

C’è chi racconta che, fra i più influenti organizzatori di eventi neomelodici, ci sia Pietro Mauro, titolare della “P.M. EVENTI”.

Mauro, da noi sentito sentito al telefono, come sentirete nel video appena ascolta la domanda sui parenti di pregiudicati che compaiono nei video e sui guadagni, stacca il telefono frettolosamente. Da allora più nessuna risposta. Ma sbirciando sulla sua bacheca Facebook si può trovare la foto che pubblichiamo sotto: Pietro Mauro al centro, fra Corrado Greco (detto il grosso)Daniele Cassia (detto Danielino) e Angelo Drago (detto pacchiarella), ovvero i capi della piazza di spaccio di Via Italia e Parco Robinson.

Pietro Mauro con i capi piazza

Certo, perché anche in questo caso è – forse – meglio guadagnare inneggiando alla malavita ma evitare di ammetterlo, non si sa mai…

Perché altro che onore e dignità, come diceva il Giudice Rocco Chinnicii mafiosi non hanno dignità, sono vigliacchi ed assassini”.

Le stesse categorie rappresentate da questi aspiranti neomelodici napoletani, ma con il sangue (ed i soldi) siciliani.

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La vergogna nel cuore di Ortigia: i luoghi delle scritte “Poliziotti bastardi”. Tutto abusivo in mano ai delinquenti?

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Ortigia è meravigliosa, sempre popolata da turisti che ne ammirano il fascino architettonico e paesaggistico: una vera perla incastonata a Siracusa.

Ad un qualsiasi turista può capitare però, se imbocca la via “sbagliata”, di imbattersi nell’imbarazzante via Alagona, un vero e proprio “quartier generaleper pregiudicati e pluripregiudicati (con tutto il rispetto possibile per i residenti che lottano ogni giorno ma non denunciano). I delinquenti, nonostante gli sforzi delle forze dell’Ordine, danno la sensazione di spadroneggiare indisturbati.

Il tutto in una sorta di “triangolo franco” fra via Alagona, via Maestranza e vicolo dell’Ulivo, con in testa il gruppo che fa riferimento al pericoloso “piccolo boss”, Gianclauido Assenza, fra il panico dei cittadini. Basti pensare che un pregiudicato agli arresti domiciliari, Michele Amenta, usciva dal retro della sua abitazione in via Maestranza per spacciare direttamente su vicolo dell’Ulivo, con tanto di sediolina e banchetto! Per non parlare di Antonio Genova, detto “Barabba”.

Ed è in questo fazzoletto di Ortigia che, alla luce del sole, fanno bella mostra di sé  due scempi: il primo è un edificio occupato abusivamente da diversi pregiudicati, con in testa – quando venne occupato, mesi fa – proprio Gianclaudio Assenza, e trasformato in una casa ultrà; il secondo una vera e propria casbah, ovvero un mercatino totalmente abusivo gestito dal pluripregiudicato Francesco Gallitto, detto “Franco u baffuni”.

IL LOCALE ABUSIVO CON LE SCRITTE: “TUTTI I POLIZIOTTI SONO BASTARDI”

Tutti i poliziotti sono bastardi”, ovvero “Acab”, e poi “diffidati liberi”, insulti alle altre città siciliane, i muri delle stradine completamente imbrattati di vernice blu e bianca, i colori sociali del Siracusa calcio.

Sì, perché è proprio qui, in via Alagona nel cuore di Ortigia che, in un locale abbandonato da anni, di proprietà – secondo i bene informati – di anziani signori, è stato abusivamente collocato un centro di ultras.

Ed è lì, come testimoniano le foto che, fra pericoli enormi dati dal cedimento della struttura, i pluripregiudicati – con in testa a maggio scorso, secondo i residenti, Gianclaudio Assenza – si ritrovano e fanno baldoria nelle ore diurne e, soprattutto, notturne (quando le volanti del Commissariato di Ortigia sono lontane da quei luoghi).

LA CASBAH, OVVERO IL MERCATO (DEI PREGIUDICATI) SENZA AUTORIZZAZIONI

Ed è sempre in quel triangolo che si dipana da via Alagona che troviamo il mercatino di  Franco u baffuni, al secolo Francesco Gallitto, l’ultima in ordine di tempo attività fuori legge del pluripregiudicato.

Totalmente abusivo (come da foto che troverete più sotto), il mercato-casbah è sorto dal nulla a partire dall’estate scorsa.

Oltre ad essere abusivo e fatiscente, i prodotti non hanno alcun tipo di igiene proprio per il modo con cui sono “trattati”. Vogliamo ricordare che, per ogni abusivo come u baffuni, dieci che pagano le tasse regolarmente sono costretti a chiudere.

Nell’attività Franco u baffuni è spalleggiato dal figliastro Michael Francesco Mauceri, detto il “Cesco di Ortigia“, pluripregiudicato ed elemento pericoloso e di spicco della criminalità ortigiana, fedelissimo di Gianclaudio Assenza.

Il “Cesco di Ortigia” è uno dei capo ultras ed è fratello di Salvatore Mauceri, detto “Salvo u ‘rossu“, anche lui pluripregiudicato, spacciatore e in questo periodo agli arresti domiciliari in Vicolo dell’Ulivo.

Salvatore Mauceri, va ricordato, è stato arrestato nei mesi scorsi all’imbarco per Malta, dal Porto di Pozzallo, insieme al consigliere comunale Antonio Bonafede (LEGGI ARTICOLO) per traffico d sostanze stupefacenti, con 20 chili di droga.

Salvatore Mauceri “U ‘Rossu”, Michael Francesco Mauceri, “Cesco Ortigia”, Francesco Gallitto “U Baffuni”

Sembra incredibile, ma è così: tutto questo ad Ortigia, nel cuore pulsante di Siracusa e con migliaia di turisti che camminano nelle splendide viuzze con i poliziotti che, se da questi pregiudicati vengono etichettati come “bastardi”, da ognuno di noi dovrebbero essere  ringraziati per quanto tentano di fare con le forze che hanno.

Certo l’immagine è devastante, così la domanda spontanea è: si può continuare così? E le altre:

  • Quando verrà chiuso il mercatino abusivo di Franco u baffuni?
  • Quando verrà sgomberato il ritrovo ultras?
  • E quando, infine, coperte quelle scritte vergognose contro i poliziotti?

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“Minchia ‘mpari, ma quindi sei in mezzo la merda…”. Gennuso, Amara, Calafiore e le ultime regionali

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Pippo Gennuso, al secolo Giuseppe da Rosolini, è il “potente” deputato regionale eletto per la quarta volta fra gli scranni di Palazzo dei Normanni (sede del Parlamento regionale).

E già nel corso delle ultime elezioni regionali, uno dei nomi che più insistentemente circolava fra i cosiddetti “impresentabili” era proprio quello del deputato di Rosolini.

La Sicilia (LEGGI) in un articolo mai smentito dall’interessato, affermava che “Giuseppe Gennuso (Autonomisti e popolari) fosse «indagato per truffa aggravata, adulterazione delle acque e frode nell’esercizio del commercio».

La Repubblica (LEGGI) si spingeva oltre ed affermava che Gennuso fosse “rinviato a giudizio per una vicenda dei tempi in cui guidava il consorzio idrico Granelli”.

GENNUSO VITTIMA DI TRIGILA?

Quando ancora Giuseppe Gennuso non era “entrato” in politica, siamo a metà degli anni ’90, lo stesso fu protagonista di una vicenda complessa, risolta poi con lo status di “vittima di estorsione”.

Giuseppe Gennuso, però, denunciò solo in un secondo momento, ovvero quando fu chiamato come “persona informata sui fatti” dal sostituto di Siracusa, all’epoca la dottoressa Pietroiusti.

La vicenda non fu convergente con le dichiarazioni di un collaboratore di Giustizia, Giuseppe Campo che affermava come Gennuso all’epoca fosse “socio di Antonino Trigila detto Pinuccio”. Va precisato che queste dichiarazioni non trovarono mai sviluppo processuale e che il deputato sentito al telefono ha commentato “Sapevo di queste dichiarazioni, ma la questione si è risolta con una intercettazione fortuita durante il processo. Io ho sempre denunciato”.

LA “MINI” TORNATA ELETTORALE

5 ottobre del 2014, avviene ciò che in nessun altro Stato al mondo sarebbe potuto accadere: si rivota per le elezioni regionali in 9 sezioni elettorali fra Pachino e Rosolini.

La vicenda è nota ai più (LEGGI), elezioni “replay” che richiamarono alle urne anche i morti, “tanto – rispondeva il funzionario della regione – mica possono venire a votare”.

Fatto sta che le elezioni “suppletive” ci furono davvero ed adesso, da quella tornata elettorale, i “morti” potrebbero condannare qualcuno – questa volta per mano della Giustizia – se avesse “pressato troppo” – per usare un eufemismo – per la ripetizione del voto.

E molti protagonisti della vicenda (giudiziaria) sulle elezioni bis nel siracusano, si accavallano con quelli del “Sistema Siracusa” e quindi con i 15 arrestati (LEGGI).

Due su tutti sono Piero Amara e Giuseppe Calafiore, avvocati arrestati pochi giorni fa dalla Finanza, e che il deputato regionale Gennuso ammette di conoscere da tempo.

Calafiore è mio amico da anni. Amara – spiega Gennuso – lo sentivo per motivi di lavoro”.

Tornando alle intercettazioni.

Minchia ‘mpari, ma quindi, ma quindi sei in mezzo la merda…” se la ride l’avvocato Giuseppe Calafiore e la risposta di Pippo Gennuso

“io ammazzo a qualcuno, ma poi io ti ammazzo a qualcuno, mi hanno fottuto la legislatura dal primo momento, dal primo momento”.

E sempre di “fottere”, ma i soldi, parla Vinciullo (deputato del Pdl), quando afferma di avere saputo da una persona vicina a Gennuso che «gli hanno fottuto i soldi, i giudici. Questo scherzetto gli è costato 200 mila euro».

Lo “scherzetto” è proprio la ripetizione delle elezioni. E le accuse mosse dal Giudice delle Indagini Preliminari di Palermo, Roberto Riggio, che invece di archiviare il caso, decise di continuare ad indagare, su Gennuso ovviamente ma anche su Raffaele De Lipsis, il presidente del Cga oggi in pensione, e sotto inchiesta per il caso Morace.

Per il gip, va iscritto per corruzione elettorale e rivelazione di segreto d’ufficio, in quanto De Lipsis presiedeva il collegio che nel 2014 accolse il ricorso dell’onorevole Giuseppe Gennuso: fu invalidato il voto in alcune sezioni elettorali di Rosolini e Pachino dove sarebbero sparite alcune schede.

Il Gip affermò che:

“Emergono condotte e situazioni dalle quali si evince ictu oculi un’attività dell’onorevole Giuseppe Gennuso diretta a influenzare l’esito del giudizio presso il Consiglio di giustizia amministrativa”.

Ed insieme a Gennuso ci sono i figli Luigi e Riccardo, ma anche l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo e l’ex ministro, Saverio Romano.

La “rabbia” di Gennuso è quella che stupisce di più, viste le comunicazioni fra il deputato “trombato” (e poi recuperato) e l’avvocato Calafiore:

Questa telenovela napoletana x quanto deve continuare ancora. E’ un anno che mi dici le stesse cose, 20 gg fa mi aveva detto cose diverse”.

L’avvocato Calafiore ribatte: “Senti il problema l’avete creato voi. E non c’è nessuna telefonata (“telenovela” – n.d.r.napoletana.”

La risposta di Calafiore irrita ulteriormente Gennuso che, a discapito della prudenza in quanto rende esplicito il fatto di essersi recato a Roma per quattro settimane consecutive, sempre per la questione del ricorso.

E’ chiaro – per i carabinieri dell’Arma – il riferimento alla pubblicazione della sentenza benché lui non completi la parola “pubblicata”:

A roma ci sono stato x 4 settimane consecutive. E tutte le volte mi dice martedì sarà pub”.

La risposta di Calafiore è piccata:

“E poi te la posso dire una cosa : ti fai film inutili nel cervello.” “E te lo dico sinceramente. Non solo  hai capre accanto che ti pa” “io no scienziati, ma per giunta ti incazzi. Evita. E’ con loro che” ti devi incazzare non con me. In ogni caso. Non c’è alcun problema e non hai alcuna necessità di farti film. Io oggi sono a sr. O pa” “ssi più tardi o aspetti che ti chiamo per vedersi in serata”.

Ma a sistemare la faccenda, ricostruisce il gip, ci avrebbe pensato il solito Avvocato Amara.

Il 4 febbraio 2014 Gennuso dice a Enzo Medica (suo collaboratore, fra gli indagati) che “quello” (verosimilmente Amara) gli aveva mandato un messaggio che “è tutto a posto”».

Lo stesso giorno Gennuso riceve una telefonata da Romano: «Ho notizie da Piero Amara… Quindi so che le cose vanno bene!.,.», lo rassicura l’ex ministro.

La stessa sera viene accertato un incontro fra uno dei figli del politico, Riccardo Gennuso, e l’avv. Amara al ristorante “Tullio” di Roma.

Le mazzette ci sono o no? 

E’ su questo che si stanno concentrando le nuove indagini.

Nelle precedenti indagini dei carabinieri i soldi sarebbero diventati – con linguaggio criptico ed in codice – “papaya”, “un frutto di cui il Gennuso fa largamente uso”. Ma per gli inquirenti non si tratterebbe del “frutto” ma di soldi, proprio per le innumerevoli raccomandazioni che Pippo Gennuso fa a suo figlio nel trasporto della “papaya”.

Oltre alla papaya, altra parola in codice sarebbero le “buste”.

Infatti, la sera del 12.02.2014, Pippo Gennuso fa ulteriori raccomandazioni affinché il figlio Riccardo adotti le dovute precauzioni lungo il viaggio, nascondendo bene quello che deve trasportare, riponendolo in “diverse buste”. Si comprende chiaramente, quindi, che non può trattarsi del frutto di cui si è parlato innanzi.

Pippo Gennuso continua dicendo:

… non metterli tutti in un posto. Li metti una davanti, una dietro… una nella borsa… In quattro o cinque cosi… sacchetti diversi…”.

Pippo Gennuso è talmente preoccupato che chiede di essere avvisato da suo figlio non appena si metterà in viaggio.

Prima di chiudere la conversazione, Pippo Gennuso raccomanda ancora di nascondere bene quello che Riccardo deve trasportare, dicendogli:

… “scippa” il sedile… li metti anche un po’ sotto al sedile di dietro… … … cartoni non ne portare! Mettili tutti nei sacchetti…

Gennuso era talmente preoccupato da richiamare il figlio Riccardo altre quattro volte, facendo sempre le stesse domande.

I RAPPORTI CON IL BOSS

Di rapporti fra Pippo Gennuso ed il boss Angelo Monaco si parla nell’operazione che porterà in galera lo stesso Monaco, “Piazza Pulita” (LEGGI).

Angelo Monaco, più volte condannato anche per mafia, estorsioni e già reggente in libertà del clan Trigila, è stato per anni il consuocero del capomafia Pinuccio Trigila.

Il boss Angelo Monaco (secondo quanto raccolto da Finanza e Polizia) per cercare di agevolare i pagamenti che ritardano relativamente alla ditta che gestisce la nettezza urbana con gli enti locali, si offre di “cercare una mediazione con l’onorevole Gennuso Giuseppe” con il quale Monaco “sarebbe disposto ad andare a parlare facendo intendere che ‘molte persone sono lì grazie a segnalazioni politiche’. Tanto è vero che Monaco vorrebbe dire a Gennuso “visto che i cristiani sono tuoi…”.

E Gennuso non smentisce i contatti ma dichiara “di non averlo mai incontrato”.

LE ELEZIONI REGIONALI

Il vantaggio di Facebook è che, sul noto social network, si possono vedere frequentazioni, foto e rapporti particolari.

Così, mentre Christian Crapula, il figlio del capomafia di Avola Michele, nel corso delle ultime elezioni amministrative minacciò tutti i suoi concittadini di votare il “suo” candidato Salvatore Guastella (LEGGI ARTICOLO), nel corso delle elezioni regionali del 5 dicembre 2017, è un altro “caro” amico di familiari del capomafia Michele Crapula ad esporsi e fare campagna elettorale pubblicamente per Giuseppe Gennuso.

Parliamo di Massimo Rubino, appassionato di bici e legato a doppio filo con Francesco (detto Ciccio) Giamblanco (genero di Michele Crapula) e con la moglie, Desirèe (figlia di Michele).

Infinite sono le foto su Facebook fra Ciccio Giamblanco e Massimo Rubino, fra cene, passeggiate in bicicletta, gare.

Anche noi, in passato, ci siamo occupati di Massimo Rubino pubblicando diverse sue foto con Ciccio Giamblanco, Cristian Crapula ed altri (LEGGI).

Ed è proprio Massimo Rubino – come si diceva – ad esporsi, in prima persona, per la campagna elettorale dell’onorevole Gennuso, con tanto di pubblicazioni di foto, che a contarle sfiorano le decine, nel solo ultimo periodo di campagna elettorale.

Abbiamo chiesto all’onorevole Gennuso come mai frequentasse Rubino, se lo conosceva e perché accettasse la sua campagna elettorale.

Rubino me lo presentò Giuseppe Casella una volta e poi l’ho visto in altre occasioni di campagna elettorale. Abbiamo fatto – spiega Gennuso – due incontri con mangiate di pizza, so che ha fatto campagna elettorale per me. Io so sempre le persone con cui mi incontro, anche Rubino me l’ha presentato Casella. So che Rubino rappresentava il gruppo di ciclisti di Avola”. Fra cui, appunto, il genero del capomafia, Ciccio Giamblanco.

Non sta a noi comprendere quali rapporti intercorrano fra Rubino – e quindi i Crapula – e l’onorevole Giuseppe Gennuso, oltre alle dichiarazioni che lo stesso ci ha fatto, ma ci sono dei dati di fatto che sono incontrovertibili, come il legame di Rubino con i Crapula e la campagna elettorale che lo stesso ha fatto per il deputato di Rosolini.

D’altronde, lo stesso Gennuso ammette che Rubino rappresentava, ad esempio, i ciclisti, quindi anche Ciccio Giamblanco ed a giudicare dalle foto pubbliche gli incontri elettorali per il candidato “Giuseppe Gennuso”, che hanno visto la presenza di Massimo Rubino, sono più di due.

E certamente rimane il detto “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei…”.

Ed adesso un altro pezzo della famiglia Gennuso scende in campo: la nuora, Daniela Armenia, candidata per le elezioni politiche ed è lo stesso Gennuso ad ammetteremi ha cercato Salvatore Guastella di Avola, per appoggiare mia nuora alle politiche ma per adesso non l’ho voluto incontrare…”. Si, il Salvatore Guastella che venne eletto con i voti (e le minacce) di Christian Crapula.

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La società del capomafia Giuliano è socia del Consorzio di Tutela IGP “Pomodoro di Pachino”

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La società del capomafia è socia del Consorzio di Tutela IGP “Pomodoro di Pachino”.

Mentre è in corso la campagna del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali che, insieme al Consorzio locale, prevede l’affissione di locandine in migliaia di punti vendita della grande distribuzione in tutta Italia per la promozione del famosissimo prodotto, proprio fra i soci confezionatori del Consorzio, quelli con il “bollino di qualità”, si trova l’azienda riconducibile al capomafia locale.

Stiamo parlando della “Azienda Fenice società agricola Srl”, creata nel settembre del 2013, appena pochi mesi dopo l’uscita dalle Patrie galere del capomafia, Salvatore Giuliano.

La “Fenice”, costituita appunto nel 2013, ha due soci: Gabriele Giuliano e Simone Vizzini e fra i dipendenti c’è proprio Salvatore Giuliano, capomafia del clan che prende proprio il suo nome, “Giuliano”, legato a “cosa nostra” catanese ed “in pace” con gli altri clan della provincia.

Lo stesso Gabriele Giuliano, figlio di Salvatore, ha diverse grane giudiziarie: è a processo con il padre per minacce di morte, tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso (indagine dei carabinieri di Siracusa, per delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania).

Suo padre, Salvatore, è stato già condannato per associazione mafiosa (come capo), droga, armi ed estorsioni e, dopo un ventennio in galera, tornò in libertà, grazie a diversi sconti di pena, nel maggio del 2013.

Attualmente Salvatore Giuliano, oltre al processo già citato in cui è imputato con il figlio Gabriele, deve rispondere nelle Aule del Tribunale di Siracusa, con l’ex sindaco di Pachino, Paolo Bonaiuto e con due consiglieri comunali in carica (Salvatore Spataro e Massimo Agricola), del reato di concussione in concorso. Giuliano, Bonaiuto ed i due consiglieri, insieme ad altre cinque persone, avrebbero, fra l’altro – stando all’indagine “Maschere nude” della polizia di Stato -, costretto il titolare di una ditta a pagare una tangente di 10mila euro per un evento comunale nell’ambito del cartellone di appuntamenti “estate pachinese”.

Salvatore Giuliano ed il suo clan sono particolarmente attivi nella realtà che dà il nome al famoso pomodorino di Pachino, tanto da essere citati nella Relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia come “Ramificazioni del clan catanese Cappello, presente anche nel comune di Pachino attraverso il vetusto clan Giuliano”.

Anche la Dia, nella sua semestrale Relazione al Parlamento, segnala il clan Giuliano come “clan che preoccupa” nel siracusano e “fortemente legato ai già citati Cappello – scrivono gli inquirenti -, di cui si colgono segnali di riorganizzazione”.

Basti pensare che la Prefettura di Siracusa inviò alla Commissione bicamerale Antimafia (protocollo n. 3132, del 3 marzo 2015), presieduta da Rosy Bindi, una relazione nella quale si diceva che:

“proprio nell’anno in corso si è avuto modo di verificare un tentativo di infiltrazione dei sodalizi mafiosi nell’apparato amministrativo nel Comune di Pachino. Si è in particolare accertato il tentativo, non riuscito, da parte di Salvatore Giuliano, personaggio di spicco della criminalità organizzata locale, recentemente scarcerato, di fare eleggere un Sindaco a lui gradito. Tale progetto era, evidentemente, finalizzato ad ottenere favori dall’amministrazione comunale, quali l’aggiudicazione d’appalti, commesse a trattativa privata, posti di lavoro ed altre attività”.

Con la precisazione, poi, che Giuliano fosse riuscito ad eleggere un consigliere comunale, Salvatore Spataro.

Tutto ciò dimostra la notevole operatività di Salvatore Giuliano e degli affiliati al clan, oltre al tentativo di influenzare le scelte della politica e dell’economia siracusana.

Il padre dell’altro socio de “La Fenice”, Simone Vizzini, è Giuseppe (detto Peppi Marcuotto), già eletto nel consiglio comunale di Pachino il 30 novembre del 1997 (poi arrestato durante il mandato e successivamente assolto).

I Vizzini, oltre a “La Fenice”, gestivano fino a fine del 2017 un distributore che, per ordine del Giudice alla procedura fallimentare di Siracusa, è stato loro tolto e ridato al legittimo proprietario che non veniva pagato da tempo.

Il giorno della reimmissione in possesso l’avvocato che ne curava la procedura ha subìto un grave attentato, una bomba è stata posizionata sotto l’autovettura, e gli stessi Vizzini poco prima erano stati visti mentre “tallonavano” la professionista siracusana.

Il Consorzio di tutela IGP ‘Pomodoro di Pachino’ non avrebbe chiesto alcun certificato antimafia per l’iscrizione al Consorzio stesso.

Ed il presidente del Consorzio IGP di Pachino, Sebastiano Fortunato, sentito dall’Agi, precisa che “secondo quanto previsto dal Disciplinare ai fini della legittimazione dell’uso del marchio è sufficiente che la società abbia ottenuto l’iscrizione all’ente di certificazione, ente che è autorizzato dal Mipaaf” ovvero “l’Istituto Zooprofilattico per la Sicilia di Palermo”. Il Consorzio, quindi, “ai fini della iscrizione di un soggetto della filiera a socio, secondo lo statuto e la normativa vigente, deve solamente verificare che il soggetto sia stato certificato dall’Ente di Certificazione”.

Questa la trafila, per il presidente del Consorzio, fatta nel caso della società “La Fenice Srl”.

Quindi alla domanda come sia possibile che il Consorzio tenga dentro una società riconducibile al capomafia locale, il Presidente precisa che “l’attività istituzionale di tutela del prodotto a marchio IGP riguarda il prodotto immesso in vendita, al fine di garantire al consumatore finale la qualità del prodotto venduto, nessun altro potere è attribuito al Consorzio”. Scaricando, di fatto, la palla al Mipaaf.

Dopo aver rilasciato la dichiarazione all’Agi, il presidente del Consorzio, Sebastiano Fortunato, ha deciso di rassegnare le dimissioni spiegando in una lettera ai soci: “Il mio incarico doveva durare solo sei mesi e invece sono gia’ trascorsi quasi 11 anni, ora e’ il momento di lasciare il Consorzio ad altri”. A questo punto, i rappresentanti de ‘La Fenice’ saranno percio’ chiamati, insieme agli altri soci del Consorzio, a votare il nuovo presidente.

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Da via Algeri “acchiananu soddi e scinni droga”: 30 mila euro al giorno. I segreti del “regno” dei fratelli Genova

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Da via Algeri, quartier generale dello spaccio del quartiere della Mazzarrona e più precisamente dalle abitazioni dei fratelli Genova, “acchiananu soddi e scinni droga”.

Oggi i carabinieri di Siracusa, con l’aiuto dei Vigili del Fuoco, hanno trovato un vero e proprio quartier generale dello spaccio alla Mazzarrona che frutta, come scritto tempo fa (LEGGI ARTICOLO), oltre 30 mila euro al giorno.

Abbiamo evitato di rivelare, prima di oggi, il “sistema” dello spaccio in via Algeri, per non dare vantaggi ai delinquenti. Oggi ricostruiamo il “regno” dei fratelli Genova ed i loro segreti.

COME FUNZIONA LO SPACCIO? IL SISTEMA DELLA GRONDAIA…

Dalle abitazioni dei fratelli Genova, Max – il vero capo – ed il fratello Gianluca, parte una grondaia che arriva fino al piano terra.

Dalla grondaia scendono le palline e, con un filo, vengono “tirati” su i soldi.

I fratelli Genova, insieme ad almeno altri quattro soci (di cui prossimamente faremo i nomi), stanno tranquillamente dentro casa a monitorare lo spaccio.

4 TURNI DA 6 ORE AL GIORNO

Le flotte di piccoli spacciatori al soldo dei fratelli Genova fanno quattro turni ciascuno, da 6 ore.

I primi “montano” di servizio alle 6 di mattina e staccano a mezzogiorno, i secondi da mezzogiorno alle 18, i terzi dalle 18 a mezzanotte e l’ultimo turno giornaliero da mezzanotte alle 6 di mattina. E così via, l’indomani.

Ogni spacciatore riceve dai “capi”, quelli che intascano “puliti” 30 mila euro al giorno, 50 palline di droga, ogni volta che le finisce, viene rifornito con altre 50.

In media, per ogni “turno”, ciascun spacciatore finisce 4-5 serie di 50 palline, oltre 250 palline (per una media di 20 euro a pallina).

IL SISTEMA DELLE TELECAMERE

Il “sistema” delle telecamere usate dai fratelli Genova e dai loro sodali è efficace per evitare qualsiasi controllo reale delle Forze dell’Ordine.

Oggi, dopo l’operazione dei carabinieri, ecco come funziona il sistema di sorveglianza:

oltre 20 telecamere che riprendono tutti gli ingressi in via Algeri, dal tennis alla farmacia, con zoom potentissimi che permettono ai “capi” di inquadrare ogni angolo e prevenire i controlli.

Nei piccoli “casotti” di legno si trovano dei grandi, enormi, televisori che, suddivisi in finestre, tengono sotto controllo ogni angolo.

I TERRAZZI PER LA FUGA

Le abitazioni sono collegate con strutture rimovibili per favorire la fuga da un appartamento all’altro e l’occultamento della droga con, addirittura, dei veri e propri dispositivi acustici da azionare per favorire la fuga.

Sono circa 40 le famiglie che, direttamente o indirettamente, aiutano i “capi” dello spaccio in via Algeri.

Oltre ai portoni d’ingresso, delle vere e proprie cancellate per entrare negli stabili.

I PRANZI DA “UN MILIONE DI VECCHIE LIRE”

Come ogni “lavoratore” che si rispetti, anche i capi di via Algeri hanno la pausa pranzo. L’unica differenza sta nella “mensa”.

Invece della mensa aziendale, per usare un eufemismo, sono i Genova ad ordinare ogni giorno per tutti i “capi” – una media di sette/otto persone al giorno – il pranzo da un noto ristorante di Siracusa (di cui prossimamente faremo il nome) che cucina ottimo pesce e che provvede a recapitare a domicilio i pasti.

Il tutto per una cifra che, di media, supera di molto il milione di vecchie lire, intorno alle 500/600 euro al giorno.

LA GENTE MUORE DI FAME, LORO GUADAGNANO

Come accaduto per le due piazze di spaccio, il Bronx e la Tonnara, anche le altre due “piazze” Via Algeri e Via Italia e Parco Robinson saranno riportate alla normalità con i capi ristretti in galera.

Da tempo c’eravamo concentrati sul Bronx e sulla Tonnara. Adesso che le due piazze sono state azzerate, ci concentriamo nella denuncia giornalistica di “Via Algeri” e “Via Italia e Parco Robinson”, certi che, anche in questi due casi, i capi verranno assicurati alla Giustizia.

Con la speranza che, quando questi “galantuomini” (per dirla con Sciascia) saranno chiamati a rispondere delle loro malefatte, non facciano come il “coraggioso” Cesco Capodieci, che prima insultava e minacciava pubblicamente e poi è scappato come “bugs bunny” ed è ricercato dai Carabinieri insieme ai suoi tre amichetti

La gente non arriva a fine mese, i cittadini della Mazzarrona reclamano giustamente diritti, ma non denunciano ciò che accade.

Solo la denuncia consentirà ai cittadini del quartiere della Mazzarrona, come qualsiasi altro di Siracusa, di essere liberi. Lo spaccio avviene a cielo aperto e se la gente non denuncia, non avrà diritto a lamentarsi.

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Dalla mafia alla politica, a Pachino “mangiamo e ridiamo tutti” e se qualcosa non va “gli spariamo”

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A Pachino “mangiamo tutti e ridiamo tutti”.

Per comprendere cosa accade nella cittadina (continuamente) sconvolta da episodi di guerriglia mafiosa, è importante far riferimento e rendere pubblici alcuni degli atti presenti nel Processo contro il capomafia Salvatore Giuliano, l’ex sindaco di Pachino, Paolo Bonaiuto, ed i due consiglieri in carica Salvatore Spataro e Massimo Agricola. Fra i quali si trovano frasi e conversazioni incredibili che testimoniano quanto sia accaduto in città, come questa.

Salvatore Spataro e Salvatore Giuliano sono sempre insieme: Spataro, all’epoca assessore, oggi componente della civica Assise è il vero braccio destro del capomafia Giuliano, non a caso il mafioso tenterà in tutti i modi – riuscendoci – a rieleggerlo e, lui, lo ripagherà con la sua “determinante” azione in Consiglio.

Spataro rassicura l’amico capomafia sugli affari che intercorrono con il Comune e con l’amministrazione guidata da Bonaiuto:

A Pachino “mangiamo tutti e ridiamo tutti”.

Spataro si riferisce all’accordo con il sindaco Paolo Bonaiuto spiegando al capomafia che:

“avevano discusso” con Bonaiuto “del fatto che tutto il denaro che sarebbero riusciti ad incassare dai lavori commissionati dal comune a titolo di tangente sarebbe stato suddiviso in parti uguali tra tutti loro così, testualmente: “mangiamo tutti e ridiamo tutti”.

Il “mangiamo tutti e ridiamo tuttiè riferito – secondo le indagini della Polizia -, ai due attuali consiglieri comunali, Salvatore Spataro e Massimo Agricola, al sindaco Bonaiuto ed, ovviamente, al capomafia, Salvatore Giuliano.

Ogni lavoro (manutenzioni, appalti), manifestazione (estate o carnevale, poco cambia), che il Comune predisponeva, il mafioso ed i consiglieri comunali guadagnavano, sulle spalle della povera gente.

E quando qualcuno non si piegava ai loro voleri, politici, dirigenti comunali o tecnici poco cambiava, Giuliano parlando con il consigliere Spataro era molto chiaro sulla lezione da dare:

Bisogna “suonare nella gambe bello accussì”, ovvero gambizzare. Ed ancora, più significativamente, il capomafia Giuliano spiega a Spataro che quando non si rispettano gli accordi “allora uno cosa dovrebbe fare, gli dovrebbe sparare direttamente”.

Incredibile ma vero: il capomafia che, con un Consigliere comunale, parla di gambizzare e “sparare”.

Purtroppo è questo “l’andazzo” a Pachino. E’ la gente che deve ribellarsi a questa commistione incredibile fra mafia e politica.

D’altronde, qualsiasi cosa accade viene – purtroppo – regolata con la violenza.

La Giustizia arriverà, ma per fermare questa spirale di violenza è la cultura e la voglia dei cittadini (con le denunce, con il voto, con i comportamenti, con le prese di coscienza non andando nel bar di Spataro “Scacco matto” o non facendo guadagnare la ditta in cui lavora il capomafia, Salvatore Giuliano “La Fenice”) ad essere determinante.

Dalla bomba all’avvocato (con il chiaro coinvolgimento – come più volte denunciato – dei Marcuotto), passando per il tentato omicidio di Giuseppe Aprile, che vede coinvolto lo stesso Aprile ed altri uomini del clan, fino all’incendio all’attività dei fratelli Fortunato.

Inutile negarlo: molti imprenditori pagano le estorsioni al clan Giuliano e, poi, negano di pagarle.

Parlando in soldoni: si va dal 3% che molti imprenditori sono costretti a pagare sulla produzione dei prodotti agricoli (che ricordiamo essere di svariate centinaia di chili, giusto per avere un’idea), fino ai trasporti di cui i produttori sono obbligati a servirsi.

Sui prodotti dell’ortofrutta spiccano le estorsioni sul pomodoro ciliegino e sulle angurie, che fruttano al clan centinaia di migliaia di euro (LEGGI). O ancora l’affare dei parcheggi (adesso che ci riavviciniamo alla stagione estiva – LEGGI INCHIESTA).

(ALTRE) INTIMIDAZIONI E L’USURA IN CITTA’

Per chi pensa che a Pachino nei giorni scorsi si sia consumato “solo” l’attentato ai Fortunato, si sbaglia di grosso.

Nei giorni dell’attentato all’Azienda dei Fortunato (complimenti al Consorzio Igp che ha dato prova di grande maturità nell’assorbire i lavoratori della ditta coinvolta nel grave episodio), un’altra Azienda è stata interessata da episodi intimidatori.

Parliamo dell’Azienda di Corrado Terzo, al quale hanno tagliato le serre ed avvelenato i pozzi d’acqua.

Corrado Terzo, va ricordato, è stato condannato per usura e la Procura della Repubblica di Siracusa, nella Relazione sull’andamento della Giustizia nel distretto, scriveva:

“Più di 20 produttori agricoli di Pachino, sono parti civili costituite nei confronti di TERZO Corrado, intermediario di prodotti agricoli, che con diversi artifizi e mezzucci, di fatto li ha ridotti sul lastrico gestendo tutta questa gente quasi fossero ‘servi della gleba’”.

E proprio la piaga dell’usura non va dimenticata per avere un quadro generale di quanto accade nella realtà, secondo i dati Pachino risulta fra le citatdine siracusane con una maggiore vulnerabilità al fenomeno. Ed anche l’usura è spesso gestita da colletti bianchi molto vicini ai clan. 

Una commistione fra mafia, politica, imprenditoria, colletti bianchi e povertà che rischia di far sprofondare, ancora di più, i tanti imprenditori sani di questa realtà così laboriosa. Un rischio, il silenzio dei cittadini, che potrebbe ingolosire i clan, portandoli allo scontro.

Un rischio concreto, insomma, che verrà sventato solo con le denunce dei cittadini.

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Noto, Il bonifico al Sindaco a poche ore dalla rielezione. Chi lo fa? La società con ‘capo’ la sorella di Crispino

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Un bonifico di 3mila euro datato 15 giugno 2016 (ovvero 4 giorni prima del turno di ballottaggio, in una situazione di grande incertezza elettorale) fatto dalla Ditta ASB Srl di Barrafranca (Enna) ed accreditato nel conto corrente del dipendente comunale Salvatore Mina (ed autista del Sindaco di Noto, Corrado Bonfanti) con una causale che non lascia spazio all’immaginazione:

Erogazione liberale per campagna elettorale Bonfanti Corrado”.

La stessa cifra riscossa il giorno successivo ed utilizzata.

E’ l’incredibile documento del quale siamo venuti in possesso da poche settimane e che, messo insieme ad altri dati che pubblichiamo, impone dei seri interrogativi sulle  ultime elezioni Amministrative di Noto.

Salvatore Mina e Corrado Bonfanti

Perché una ditta di pulizie, attualmente aggiudicataria di appalti nel Comune, fa un bonifico al Sindaco che, tre giorni dopo, cerca la riconferma elettorale?

Perché fare il bonifico elettorale ad un dipendente comunale che, guarda caso, ha la mansione di autista del Sindaco?

Come mai l’appalto viene aggiudicato con ribassi anomali, sotto la soglia consentita dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione?

E soprattutto, la domanda più spinosa e pericolosa, come mai la ditta in questione assume come capo del personale la sorella di uno dei personaggi più forti del clan Trigila (secondo le dichiarazioni di più pentiti che vedrete nel seguito dell’articolo), associazione mafiosa egemone proprio a Noto?

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire la complessa vicenda.

CHI E’ LA DITTA ASB SRL DI BARRAFRANCA?

La Ditta “ASB Srl” di Barrafranca è un’impresa di pulizie della provincia di Enna che ha (guarda caso, appena dopo l’aggiudicazione), come capo del personale, la signora Carmela (detta Elita) Crispino. E, a beneficio di chi non avesse dimestichezza con il cognome, specifichiamo subito che la responsabile del personale è la sorella di Giuseppe Crispino (detto Peppe u barbieri), personaggio di spicco del clan Trigila, già arrestato in precedenza e considerato – grazie alle dichiarazioni di diversi Collaboratori di Giustizia – come uno dei capi del sodalizio criminale di stampo mafioso ed attualmente in libertà.

Crispino – secondo ben tre collaboratori di Giustizia – è:

“appartenente al clan Trigila dal 1999-2000” e poi ancora “gestiva le estorsioni ed i soldi del clan” e sempre secondo i collaboratori “si occupa di tutto, compreso lo spaccio di droga”.

Sicuramente le capacità della Signora Elita Crispino saranno eccelse, ma appare particolarmente strano – quantomeno curioso – che una ditta di Barrafranca, che dista precisamente 193 km da Noto, arrivi nella meravigliosa capitale del Barocco e assuma, dopo l’aggiudicazione dell’appalto, come “capo” del personale proprio la sorella del notissimo Peppe u barbieri (Giuseppe Crispino), riconosciuto come un (se non il) personaggio di spicco del clan mafioso.

LA DITTA ASB ED IL PRIMO AFFIDAMENTO ANOMALO

Il 30 dicembre del 2014 (si, avete letto bene, nel pieno delle feste natalizie) durante il primo mandato del Sindaco, Corrado Bonfanti, la ditta Asb Srl di Barrafranca si aggiudica la gara per l’affidamento del servizio di pulizia dei locali comunali.

Una gara, però, quantomeno anomala. Avviene a “cottimo fiduciario” ed al massimo ribasso, a cui vengono invitate (si, invitate) 20 ditte.

L’importo a base d’asta è pari a €. 176.846,82 dei quali solo €. 46.139,64 sono soggetti a ribasso.

Alla data del 30/12/2014 pervengono sei offerte con ribassi che vanno dal 65,000% al 84,986%.

Siccome le offerte pervenute sono inferiori a dieci non si pratica il “taglio delle ali”.

Ricordiamo che, secondo quanto disposto dall’Autortà Nazionale Anti Corruzione presieduta da Raffaele Cantone, si dovrebbe calcolare la media aritmetica dei sei ribassi offerti, che equivale al 73,015%, la media dei ribassi tra le offerte oltre la media determinata, che equivarrebbe a 83,348%, per individuare la soglia di anomalia oltre il quale si hanno offerte irragionevolmente basse, da escludere.

Ma nel caso della Asb di Barrafranca ciò non accade e la soglia di anomalia corrisponderebbe al 78,1815%.

La gara viene aggiudicata alla ASB srl con sede a Barrafranca (Enna), che ha offerto il ribasso più alto in assoluto, pari a 84,986%, evidentemente oltre la soglia di anomalia. Il ribasso, esclusa IVA ammonta a € 39.230,23.

Pensate che la questione sia finita qui? Assolutamente no!

In attesa della definizione della gara, in data 08/01/2015 con determina n° 2 del Dirigente del  settore IV – Gestioni e Manutenzioni, viene assegnato direttamente per un mese, alla ASB srl, il servizio di pulizia di cui alla gara d’appalto, motivandolo con lo scopo di “non interrompere il servizio, per evidenti motivi di igiene dei locali e della salute pubblica”. Ricapitolando: la ditta che gestiva prima il servizio è la Multiservices srl, società che ha partecipato alla gara e successivamente ha invitato l’ufficio ad annullarla in autotutela; sarebbe normale che la ditta in scadenza di contratto, che ha gestito il sevizio fino a quel momento, continuasse a svolgerlo per impedirne l’interruzione, fino alla definizione della gara. La Multiservices srl, tra l’altro, avendo offerto un ribasso pari al 69,690% risulterebbe aggiudicataria dell’appalto, con il ribasso più alto entro la soglia di anomalia (pari al 78,1815%).

Il servizio invece, per un mese, viene conferito direttamente alla ASB srl, che ha offerto il massimo ribasso, evidentemente oltre la soglia di anomalia.

Con successiva determinazione del Dirigente del settore IV, Geom. Franco Caristia, n° 160 del 05/02/2015 poi, ASB srl “risulterà” aggiudicataria del servizio.

Appena ottenuto l’appalto la responsabile del personale della ASB diventa Carmela Crispino (detta Elita) sorella, come dicevamo, di Peppe CRISPINO, detto “u barbiere”.

IL BONIFICO E LE ELEZIONI DEL 19 GIUGNO DEL 2016

Siamo nel mezzo di una serratissima campagna elettorale per il ballottaggio, il Sindaco uscente, Corrado Bonfanti, appoggiato da ben 4 liste fra le quali il Pd, non riesce ad arrivare all’elezione al primo turno. E’ tallonato, ad una incollatura, dallo sfidante che all’epoca era Corrado Figura.

Ecco che, il 15 giugnoa soli quattro giorni dal voto –, il bonifico fatto dal conto corrente della Ditta “ASB” di Barrafranca con capo del personale la sorella del boss.

Il bonifico è eseguito, come si diceva, sul conto corrente personale del dipendente comunale ed autista del Sindaco, Salvatore Mina. Il corrispettivo del bonifico, ovvero l’intera cifra di 3mila euro, viene prelevato dall’autista del Sindaco il giorno successivo.

Fra le altre cose, questa somma di 3mila euro è stata iscritta nella contabilità (ovvero nelle scritture contabili) della Ditta e se c’è, come è stata contabilizzata?

Lo stesso Mina, come si può vedere dalle immagini di questo filmato (al minuto 1:09), la sera delle elezioni “sembra” – per usare un eufemismo – particolarmente felice della riconferma del Sindaco del Pd ed esulta con trasporto, addirittura irridendo l’avversario.

Lo stesso che ha ricevuto il bonifico dalla ditta.

DOPO LA RIELEZIONE DEL SINDACO, LA CONFERMA DELLA DITTA

Dopo la rielezione di Bonfanti, la “ASB srl” ha continuato ad essere la ditta di Noto.

Basta prendere in esame  la determina del dirigente del settore IV n° 298 del 10/03/2017 “Servizio di pulizia dei locali comunali, del teatro, delle sale e dei siti museali per mesi 10. Presa d’atto dell’aggiudicazione in Mepa alla ditta: ASB srl”.

In questo caso vengono invitate solo 5 ditte, molte delle quali della Provincia di Enna, risultando ancora aggiudicataria la ASB srl.

Questa volta, a fronte di un importo a base di gara €. 175.367,87 esclusa IVA, l’importo del ribasso, esclusa IVA, è di €. 3.321,87, ben lontano da € 39.230,23 del primo appalto. Incredibilmente lontano. Eppure non si può pensare che ci sia una maggiore sporcizia nei pavimenti! 

Inoltre l’appalto della ditta di pulizie è per 10 mesi, scaduto a novembre 2017 viene riaffidato alla ditta ASB, con determina del dirigente del settore IV n° 2240 del 22/12/2017 “Servizio di pulizia dei locali comunali, del teatro, delle sale e dei siti museali per mesi 10”. In questo caso vengono invitate 11 ditte, risultando ancora aggiudicataria la ASB srl, (determina del dirigente del settore IV n° 258 del 26/02/2018 “Servizio di pulizia dei locali comunali, del teatro, delle sale e dei siti museali per mesi 10. Presa d’atto dell’aggiudicazione in Mepa alla ditta: ASB srl”).

Questa volta l’appalto viene aggiudicato per €. 116.224,56 esclusa IVA, a fronte di un importo a base di gara €. 170.470,37 esclusa IVA; l’importo del ribasso è di €. 54.245,81.

COSA ACCADE A NOTO?

Da tempo, oramai, scriviamo sulla meravigliosa città netina.

Fra i nostri primi articoli ci fu l’appoggio del clan nell’ultima campagna elettorale (LEGGI ARTICOLO), poi la questione delle firme false che ha visto indagato (ed ancora in carica) il Consigliere comunale Corrado Cultrera (LEGGI ARTICOLO), marito del presidente del Consiglio Comunale, Veronica Pennavaria.

Oggi questo incredibile documento.

Le domande, le ripetiamo, sono molto chiare:

  • Perché una ditta di pulizie, attualmente aggiudicataria di appalti nel Comune, fa un bonifico al Sindaco che, tre giorni dopo, cerca la riconferma elettorale?
  • Perché fare il bonifico elettorale ad un dipendente comunale che, guarda caso, ha la mansione di autista del Sindaco?
  • Come mai l’appalto viene aggiudicato con ribassi anomali, sotto la soglia consentita dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione?
  • E soprattutto, la domanda più spinosa e pericolosa, come mai la ditta in questione assume come capo del personale la sorella di uno dei personaggi più forti del clan Trigila (secondo le dichiarazioni di più pentiti che vedrete nel seguito dell’articolo), associazione mafiosa egemone proprio a Noto, appena dopo l’aggiudicazione dell’appalto?
  • Non ritiene il Comune di Noto di rescindere l’appalto e spiegare all’opinione pubblica i passaggi di questa, quantomeno tristemente curiosa, vicenda.

La risposta è lasciata all’Amministrazione comunale che, contattata, non ha voluto rilasciare dichiarazioni e, soprattutto, ai cittadini.

Con la speranza che, chi di competenza, faccia chiarezza una volta per tutte a Noto.

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Ad Avola comandano i Crapula, Desireè decide chi picchiare: “Bastardo, magnaccio. Ci vanno e lo gonfiano”

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Michele Crapula mantiene ancora il controllo del gruppo mafioso tramite la moglie Venera Magro ed i figli, Desireé, Aurelio (detto Cristian) e Rosario.

Il nostro giornale lo ha denunciato da anni (LEGGI ARTICOLO) – (GUARDA VIDEO INCHIESTA) – (LEGGI ALTRO ARTICOLO) e per colpa di queste denunce siamo stati bersagliati da un lato di querele, dall’altro di minacce.

Adesso a darci ragione è il Gip di Catania che, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico dei tre pregiudicati Francesco Giamblanco (marito di Desireè Crapula e genero del capomafia Michele), di Massimo Rubino e di Giuseppe Gennuso,

precisa che:

“Il Crapula Michele aveva costituito all’interno del clan Trigila un gruppo proprio e benchè arrestato manteneva e risulta mantenere ancora il controllo del gruppo attraverso la moglie Magro Venera e i figli Desireé, Aurelio (detto Cristian) e Rosario”.

E se tutto ciò non bastasse, è la stessa Desireè Crapula a confermare un’altra nostra inchiesta giornalistica, quella che portò all’acquisizione della figlia del capomafia e del marito, oggi in carcere, Francesco Giamblanco, del chiosco di fiori al cimitero della signora Maria Cancemi (LEGGI ARTICOLO).

La stessa Desireè, infatti, parlando con la madre Venera Magro, affermava

di aver detto al Paolo Alfò che suo padre, Michele Crapula, lo aveva sempre favorito, lasciandolo “lavorare” liberamente e che grazie a queste “concessioni”, aveva potuto guadagnare molti soldi in trent’anni di attività. Il chiarimento si era reso necessario a seguito delle dichiarazioni accusatorie rilasciate da ALFO’ Venerando e ALFO’ Sebastiano nell’ambito del proc. Pen. 10234/17 RGNR iscritto presso la D.D.A. ed avente ad oggetto un’ipotesi di estorsione aggravata dal metodo mafioso posta in essere, tra gli altri, da GIAMBLANCO Francesco e CRAPULA Desiree nei confronti di CANCEMI Maria, titolare di un chiosco di vendita dei fiori dinanzi al cimitero di Avola”.

Il padre, Michele Crapula, lo aveva sempre favorito, lasciandolo lavorare liberamente”. Sono proprio queste le parole di Desireè Crapula.

Desirè Crapula e Ciccio Giamblanco

La figlia del capomafia, infatti, potrebbe regalare la sensazione di essere una “boss in gonnella”, visto che è lo stesso Gip di Catania a riportare la sua decisione di far picchiare l’amico del marito, ovvero Massimo Rubino, per uno sguardo di troppo ad una ragazza.

E Desireè Crapula non mancherà di dimostrare chi comanda in famiglia, quando insulta molto pesantemente il marito Ciccio Giamblanco (“bastardo”, “poi in serata  me la devo sbrigare ancora con te … magnaccio”).

Desireè Crapula, infatti, rivolgendosi al marito Ciccio Giamblanco lo insulta, informandolo di aver dato il “permesso” (è proprio il termine usato dal Gip) ad un gruppo di uomini di Floridia che erano andati da lei per dare una punizione a Rubino.

Perché quegli uomini di Floridia, che per Desireè Crapula sono “amici di mio padre” vanno nel suo negozio, Il Fiorista, “mettendola a conoscenza del fatto che il Rubino aveva infastidito una donna e che, pertanto, erano andati da lei per chiederle il permesso di potergli dare una punizione”?

Da chi si va solitamente nei contesti mafiosi a chiedere il permesso?

La domanda ha una risposta ovvia, si va proprio dal boss, da colui (o colei, in questo caso) che comanda.

E Desireè, come abbiamo sempre sostenuto, da queste intercettazioni dimostra di comandare. E lo dimostra (anche) al marito, Ciccio Giamblanco.

“Questo l’ha sarbata (ndr conservata – alludendo a Massimo Rubino)”.

E poi rivolgendosi al marito:

“tu appena ti vedo con la bicicletta, u signuri lo sai che ti dico, ti devo vedere accanto a questi”.

Chissi, chissi” dice Desireè Crapula:

“stamattina sono venuti tutti i floridiani al negozio, bastardo, hai capito? gli ho detto <andateci fino a casa sua e la faccia fate … poi quando viene mio marito gli dovete dire: dimmi di chi sei figlio>  hai capito? questo poi in serata  me la devo sbrigare ancora con te … magnaccio, che amici di mio padre mai ne hanno ‘ncuitatu (ndr importunato)  femmine dentro casa, hai capito? mai ne hanno ‘ncuitato femmine dentro casa”.

Giamblanco, piccolo piccolo, chiedeva alla moglie di calmarsi, ma lei non ammetteva repliche, aveva deciso: Rubino andava punito!

Ora quando ci vanno i floridiani a casa sua e lo gonfiono tutto poi caso mai viene da te e poi te la vai a chiami tu caso mai a Floridia … nuddru o munnu, nuddru o munnu, copre la spazzatura … nuddru o munnu, poi glielo dico io chi è mio padre ad Avola e chi non è … poi glielo dico io  … e poi glielo dico davanti te chi è mio padre … hai capito?”.

E se Ciccio Giamblanco, ovvero il marito pregiudicato ed arrestato di Desireè Crapula aveva “capito” chi comandava, adesso sono i cittadini di Avola che devono comprenderlo.

Noi lo abbiamo sempre denunciato e lo abbiamo fatto per i cittadini, per permettervi di schierarvi e decidere da che parte stare: dalla parte dello Stato, o dalla parte della mafia.

E le attività dei figli del capomafia Michele Crapula sono tante, dal negozio Il Fiorista di Desireè, al Waikiki di Cristian, fino alla ditta di limoni di Rosario.

Decidete da che parte stare, ma adesso non è più (solo) il nostro giornale a denunciare le malefatte della mafia di Avola, del gruppo mafioso dei Crapula, adesso sono i documenti degli Inquirenti e della Magistratura.

Continuerete ancora a far finta di non sentire, di non vedere?

E’ possibile tollerare, come in questo caso che mostriamo, che uno spettacolo teatrale con il patrocinio del Comune di Avola sia sponsorizzato dal negozio Il Fiorista di Desireè Crapula, esattamente quello in cui la stessa figlia del capomafia Michele decide se e chi fare picchiare?

Spettacolo teatrale finanziato da Il FIorista

Ecco, tutto questo accade ad Avola. E nella prossima inchiesta parleremo dell’infiltrazione del clan nel Consiglio Comunale cittadino.

E’ ancora poco, o è arrivato il momento di gettare la maschera e schierarsi?

Se i cittadini di Avola non lo faranno, non avranno  più scuse né motivi di lamentarsi: saranno tutti complici!

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La clamorosa notizia: “I Crapula hanno condizionato il risultato delle elezioni Amministrative di Avola”

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Abbiamo quattro-cinquecento voti, ma li abbiamo con i fatti…i soldi ci vogliono” (…) “a Turi Guastella quanti gliene abbiamo raccolto voti….e mi sono stato manzo che io mi spaventavo”.

A parlare è Francesco(detto Ciccio) Giamblanco, marito di Desireè Crapula e genero del capomafia, Michele, arrestato nell’operazione dei Carabinieri di Siracusa, per delega della Procura Distrettuale Antimafia di Catania, che ha scoperto il voto di scambio politico mafioso messo in atto dal deputato regionale Giuseppe (detto Pippo) Gennuso insieme con l’altro arrestato, Massimo Rubino.

Per i Magistrati della Procura Antimafia di Catania:

“Emergeva, dunque, che i Crapula già in occasione delle ultime elezioni per la nomina del sindaco e del consiglio comunale di Avola avevano condizionato il risultato elettorale sostenendo la candidatura di Salvatore Guastella”.

Ciccio Giamblanco, parlando con l’altro arrestato, Massimo Rubino, aveva – scrive il Gip -:

“anche ricordato la loro efficacia come Crapula nelle precedenti elezioni comunali quando avevano sostenuto il candidato Guastella il quale alla prima candidatura era stato eletto (Giamblanco: a Turi Guastella quanti gliene abbiamo raccolto voti….e mi sono stato manzo che io mi spaventavo”).

E se ciò non bastasse, il Gip di Catania riprende le parole di Cristian Crapula (figlio del capomafia, Michele Crapula) che denunciammo il giorno prima delle elezioni (LEGGI ARTICOLO) e segnalato in diversi interventi e interrogazioni parlamentari del Senatore Mario Michele Giarrusso.

“In effetti, il sostegno del clan era stato pubblicizzato nel corso della campagna elettorale proprio da Cristian Crapula (figlio del boss Michele) il quale, in un post pubblicato sul social network Facebook con il volantino che propagandava l’elezione del Guastella, aveva scritto: “Io spero ke tutti quelli ke si reputino “AMICI nn ci voltino le spalle. Xk poi quando avete di bisogno ve li volto io ed io le spalle ce l’ho belle larghe ke mi sembrano il muro di Berlino!!!!”.

Salvatore (detto Turi) Guastella è un consigliere comunale della maggioranza di Avola, eletto nelle liste che appoggiavano la ricandidatura del Sindaco, Luca Cannata.

Michele Crapula mantiene ancora il controllo del gruppo mafioso tramite la moglie Venera Magro ed i figli, Desireé, Aurelio (detto Cristian) e Rosario (LEGGI).

Se questo controllo – come si legge negli atti della Procura – ha anche “condizionato le ultime elezioni per la nomina del sindaco e del consiglio comunale di Avola sostenendo la candidatura di Salvatore Guastella”, si può far finta di nulla?

LE “MANI” DELLA FAMIGLIA CRAPULA NELLE ATTIVITÀ IMPRENDITORIALI

In questo periodo (ma lo approfondiremo prossimamente con un articolo apposito), la famiglia Crapula sta ulteriormente ingrandendo le proprie attività imprenditoriali.

Dopo i negozi di fiori e le onoranze funebri (dentro e fuori il cimitero – a cura di Desireé Crapula e del marito arrestato Cicciò Giamblanco), attività di limoni (business gestito dal figlio Rosario) ed il lido Waikiki gestito dal figlio piccolo del capomafia, Cristian Crapula e dalla compagna, Roberta Di Maria.
Per completare le attività imprenditoriali della famiglia, sta sorgendo uno stabilimento balneare nella spiaggia antistante il Waikiki.
L’autorizzazione del demanio marittimo è stata concessa a nome della nuora del capomafia  Michele, insieme alla signora Liotta.
Successivamente il 6 aprile 2018, alla Signora Liotta (come informa l’avvocato della stessa) è subentrata la Signora Daniela Tiralongo, così come la nuora del capomafia è la Signora Teresa Vaccarella, compagna di Rosario Crapula.
Le attività della famiglia Crapula sono ovunque in città.

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Da Lentini a Carlentini ed Augusta, qui dove la mafia (peggiore) sono i colletti bianchi

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La mafia fra Lentini, Carlentini Francofonte ed Augusta sono in particolare i “colletti bianchi” che fanno affari, in nome e per conto dei clan, con amministratori, politici ed imprenditori.

La splendida piazza principale di Lentini, quella da cui si accede in Comune o in alcune delle attività imprenditoriali di familiari o accoliti del “capo” Sebastiano (detto Nello) Nardo, rappresenta la storia della mafia lentinese. E’ lì che, negli anni che furono, Nello Nardo (unico siracusano “battezzato” durante una riunione della cupola, portato dal capomafia ed amico Nitto Santapaola) comandava, conoscendo ogni metro di quella piazza.

Ed è lì che la gente, troppo spesso, chiude le tapparelle e fa finta di non vedere ciò che accade. Chiude gli occhi davanti alle attività dei Nardo o, peggio, davanti agli affari che i clan fanno tramite professionisti, politici, amministratori. Dalla spazzatura, alla gestione del settore edile, sino al riciclaggio di denaro proveniente da illecite attività. Politici che partecipano (o hanno partecipato) a manifestazioni contro la mafia, finendo poi per fare affari con – o meglio per – l’organizzazione mafiosa locale.

Solo sei mesi fa, a seguito dell’operazione “Chaos” della Procura Distrettuale Antimafia di Catania, il clan Santapaola rassicurava, durante un summit a Francofonte, gli “amici” dei Nardo.

Il paese vostro è” diceva Carmelo Cristian Fallica, alla presenza, in un vecchio casolare in contrada Vignale Verga lungo la strada statale 194, di Francesco CaltabianoSalvatore CataniaFabrizio Iachininoto Cirino Rizzo.

I quattro erano tutti finiti nell’inchiesta Chaos, perché ritenuti appartenenti al gruppo Nardo, ma a reggere le fila dell’organizzazione locale siracusana sarebbe stato Francesco Caltabiano, detto Franco, condannato per associazione mafiosa in via definitiva.

Ma al di là dei nomi dei boss (o presunti tali), ciò che rappresenta davvero l’emergenza del comprensorio di Lentini, sono appunto quei professionisti e quei politici (o amministratori) al servizio del clan.

Mentre la gente si distrae, mentre nei bar si consumano i caffè con l’aria innocente di chi “non vede, non sente, non parla”, i soldi viaggiano da e verso Siracusa (la spazzatura Lega le due città) e Catania.

Perché, se un tempo poteva essere vero che i Nardo fossero avulsi dal siracusano ed integrati perfettamente nel catanese, oggi questa tesi non è più così certa.

Proprio in un momento in cui i colletti bianchi a Lentini (a Carlentini o ad Augusta) sono la peggior parte della mafia stessa.

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Le società del deputato Gennuso hanno gli stessi commercialisti delle società dei Messina Denaro

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I commercialisti di molte società dei familiari del superlatitante Messina Denaro, lo sono anche della Società Immobiliare Alberghiera Srl di proprietà della famiglia Gennuso”.

E’ quanto scrive il giornalista Paolo Borrometi nel libro “Un morto ogni tanto” da oggi – 25 ottobre – in libreria (edito Solferino) sul quattro volte deputato regionale siracusano Giuseppe Gennuso. Borrometi ricostruisce la scalata imprenditoriale prima e politica poi del deputato Gennuso, oggi ritornato – dopo l’arresto per voto di scambio politico mafioso – fra i banchi del Parlamento regionale siciliano.

“La società più importante della famiglia Gennuso ci porta insomma dritti dritti a Castelvetrano. […] I componenti del collegio sindacale incredibile ma vero, non ce n’è uno che non sia di Castelvetrano, la patria – tanto per citarne uno – dell’inafferrabile Matteo Messina Denaro”.

“Per chi non conosce bene la Sicilia e le sue distanze chilometriche, può non voler dire molto, ma occorre sapere che Rosolini dista da Trapani circa 400 chilometri: più o meno come Roma-Bologna, per intenderci, ma con infrastrutture ben diverse, che richiedono oltre quattro ore di strada in macchina da una destinazione all’altra, o all’incirca dodici ore e quarantacinque minuti, con tre cambi, per chi invece preferisse prendere un treno”.

Ed i commercialisti, rivela nel libro Borrometi, non rappresentano una “scelta qualunque”: sono i “commercialisti che annoverano tra i loro clienti «società e ditte» dei Messina Denaro” e sono fra “le concause” che portarono “nel giugno scorso allo scioglimento per mafia dello stesso Comune di Castelvetrano”. In quanto uno di loro era “consulente a titolo oneroso del comune”.

Un morto ogni tanto

Paolo Borrometi – “Un morto ogni tanto” – Editore “Solferino – Corriere della Sera”.

Il libro è in tutte le librerie da ieri, 25 ottobre. E’ stato presentato a Roma alla presenza del Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, del Consigliere del Presidente della Repubblica, Giovanni Grasso, del Comandante Generale dell’Arma, Giovanni Nistri e dell’attore e regista, Pif.

Parte del ricavato del libro sarà devoluta in beneficienza all’Associazione “Vittime del Dovere” che è “oggi punto di riferimento per coloro che si trovano soli ad affrontare le difficoltà conseguenti alla perdita del proprio congiunto”.

Si definiscono “Vittime del Dovere” (ai sensi della Legge 23 dicembre 2006 n. 266 art. 1 comma 563 – 564) gli appartenenti a: Magistratura, Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato, Vigili del Fuoco e Polizie municipali” che hanno perso la vita in “eventi connessi all’espletamento di funzioni d’istituto e dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all’espletamento di attività di soccorso”.

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I nomi di boss e affiliati del clan Nardo. Nel libro “Un morto ogni tanto” i rapporti indicibili con politica e imprenditoria

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Il clan Nardo conta oltre duecento affiliati, opera in particolare fra Lentini, Carlentini, Sortino, Francofonte e (l’emergenza) Augusta”.

È solo uno stralcio del libro “Un morto ogni tanto” (Solferino editore) in tutte le librerie dal 25 ottobre. Il libro inchiesta di Borrometi che parla, fra i tanti argomenti, del clan Nardo di Lentini, dei rapporti mafia, politica ed imprenditoria nella città di Lentini e di Augusta.

Lentini ed Augusta sono le vere emergenze della parte nord della Provincia di Siracusa”.

“Il clan Nardo è ben radicato nella provincia, legato ai colletti bianchi che gestiscono appalti e politica, con interessi che spaziano dalla gestione dei rifiuti al riciclaggio”.

lentini mafia

In questa mappa (CHE BASTA CLICCARE PER APRIRE) i nomi dei reggenti, boss ed affiliati (che si sono succeduti nel tempo) del clan.

Nel libro i nomi e i rapporti con i colletti bianchi della realtà. Tanti, troppi per rimanere in silenzio.

Insomma, un libro che rivelerà un volto totalmente sconosciuto dei rapporti mafia e politica, degli imprenditori di Lentini, di Augusta e dei boss mafiosi con cui, troppo spesso, si intrattengono rapporti di collusione, di favoritismi o di subalternità.

Un morto ogni tanto

Paolo Borrometi – “Un morto ogni tanto” – Editore “Solferino – Corriere della Sera”.

Il libro è in tutte le librerie da ieri, 25 ottobre. E’ stato presentato a Roma alla presenza del Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, del Consigliere del Presidente della Repubblica, Giovanni Grasso, del Comandante Generale dell’Arma, Giovanni Nistri e dell’attore e regista, Pif.

Parte del ricavato del libro sarà devoluta in beneficienza all’Associazione “Vittime del Dovere” che è “oggi punto di riferimento per coloro che si trovano soli ad affrontare le difficoltà conseguenti alla perdita del proprio congiunto”.

Si definiscono “Vittime del Dovere” (ai sensi della Legge 23 dicembre 2006 n. 266 art. 1 comma 563 – 564) gli appartenenti a: Magistratura, Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato, Vigili del Fuoco e Polizie municipali” che hanno perso la vita in “eventi connessi all’espletamento di funzioni d’istituto e dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all’espletamento di attività di soccorso”.

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Il Sindaco ed il boss a colloquio: la foto esclusiva nel libro “Un morto ogni tanto”

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Cosa ci fanno insieme un Sindaco e un boss?

E’ quello che si è domandato, nel libro “Un morto ogni tanto” (edito Solferino), Paolo Borrometi.

Parliamo di Corrado Bonfanti, Sindaco di uno dei comuni più belli al mondo: Noto. E di un boss condannato per reati mafiosi e molto altro. Oggi ritornato in libertà, il boss Waldker (detto Rino) Albergo, è proprietario di molte attività imprenditoriali nel cuore della città.

Non un’accusa, la foto, ma una prova di un rapporto che esiste. Non è un reato farsi le foto con i boss o andare a colloquio con loro. Ma “molto meglio sarebbe per i politici non dare mai confidenza ai boss”. Appunto.

Il boss condannato per mafia (…) Rino Albergo ha sempre avuto buoni rapporti anche con la politica. Molto meglio sarebbe per la politica ed i politici non dare mai confidenza ai boss. In una foto scattata davanti all’ingresso di una delle sue attività imprenditoriali, Rino Albergo è ritratto mentre parla con una persona che è ben più di un semplice cittadino (…) è proprio il primo della città di Noto”.

È solo uno stralcio del libro “Un morto ogni tanto” (Solferino editore) in tutte le librerie. Il libro inchiesta di Borrometi che parla, fra i tanti argomenti, dei rapporti fra mafia e politica nella città di Noto.

Il boss Albergo è colui che ha monopolizzato la splendida capitale del barocco a suo uso e consumo, aprendo attività in ogni dove, in barba alle norme di legge (come emerso da diversi controlli). Dal libro emerge come nasce l’idea imprenditoriale del boss Albergo, i suoi rapporti con i capimafia, con la politica, con gli altri imprenditori.

Nel libro di Paolo Borrometi è raccontato questo e molto altro, a partire dalla foto esclusiva. Proprio del Sindaco di Noto hanno fatto il giro del mondo le foto che lo ritraevano lo scorso primo settembre mentre celebrava il matrimonio in città dei “Ferragnez” (Fedez e Chiara Ferragni), adesso quella fra lo stesso primo cittadino ed il capomafia.

Così come, dopo mesi dalle rivelazioni fatte da Borrometi sul ruolo di Elita Crispino, la sorella del boss Giuseppe Crispino nella società che si occupa dei servizi di pulizia in città (LEGGI ARTICOLO), nulla è cambiato. O meglio, Crispino è stato arrestato ancora una volta, mentre la sorella rimane nel suo posto dirigenziale.

“Senza dubitare delle capacità della signora Elita Crispino, riflettevo su quanto fosse curioso che una ditta di pulizie di Barrafranca (a 193 chilometri da Noto), una volta arrivata nella capitale del barocco ed essersi aggiudicata l’appalto, assumesse come capo del personale proprio la sorella di un boss”.

E l’assegnazione alla ditta di Barrafranca arrivò dopo un misterioso bonifico, fatto ad uno dei principali collaboratori del Sindaco, in piena campagna elettorale per il rinnovo. E tanti nomi e cognomi di chi sta rovinando la nostra terra.

Insomma, un libro che rivelerà un volto totalmente sconosciuto dei rapporti mafia e politica, degli imprenditori ragusani e siracusani e dei boss mafiosi con cui, troppo spesso, si intrattengono rapporti di collusione, di favoritismi o di subalternità.

Un morto ogni tanto

Paolo Borrometi – “Un morto ogni tanto” – Editore “Solferino – Corriere della Sera”.

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Parte del ricavato del libro sarà devoluta in beneficienza all’Associazione “Vittime del Dovere” che è “oggi punto di riferimento per coloro che si trovano soli ad affrontare le difficoltà conseguenti alla perdita del proprio congiunto”.

Si definiscono “Vittime del Dovere” (ai sensi della Legge 23 dicembre 2006 n. 266 art. 1 comma 563 – 564) gli appartenenti a: Magistratura, Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Esercito, Marina Militare, Aeronautica Militare, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato, Vigili del Fuoco e Polizie municipali” che hanno perso la vita in “eventi connessi all’espletamento di funzioni d’istituto e dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all’espletamento di attività di soccorso”.

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